Ormai sono passati dodici anni da quel terribile attacco terroristico che ha cambiato radicalmente, non solo l'animo di New York, ma l'animo del mondo intero. Un attacco terribile messo a segno nel cuore del mondo occidentale. Un attacco che ha scatenato un devastante effetto domino che ha portato a dodici anni di guerre di vendette o (come preferiscono dire gli americani) di guerre preventive.

Ma tutta questa prevenzione a cosa ha portato? Dopo dodici anni di guerre il mondo è veramente più sicuro e stabile? Domande tutt'altro che scontante visto la neo crisi siriana, che si è andata ad unire alle tensioni internazionali con l'Iran e la Corea del Nord, per non parlare poi della cosiddetta primavera araba che rischia sempre di degenerare in scontri armati fra i diversi fazioni antagoniste.

Ma alla fine, nonostante gli Alleati abbiano decretato la loro vittoria nelle campagne in Iraq ed Afghanistan, con le rispettive eliminazioni di Saddam Hussein e Osama Bin Laden, quello che è realmente rimasto in eredità alla pace sono solo paesi devastati e migliaia di morti e profughi, che non hanno fatto altro che creare un nuovo terreno fertile dove far germogliare il seme dell'odio e della vendetta verso l'Occidente.

Andrea Riccardi, noto storico e conoscitore del mondo arabo, scrisse: "Dopo l'11 settembre il dialogo è più che necessario per svuotare i giacimenti di odio e di diffidenza che rischiano di avvelenare gli animi, di alimentare il terrorismo".

Pensiero più che condivisibile in un momento di altissima tensione internazionale come quello che stiamo attraversando.

Purtroppo però, come succede spesso, nella società attuale si tende a semplificare troppo le situazioni. Tutto quello che non è immediato e semplice viene spacchettato, ridotto a elementi più piccoli, affinché possa assumere dimensioni più comprensibili ed immediate. Del resto l'Occidente ha già tanti problemi: non può perdere tempo a capire il mondo arabo e tutte le sue complessità.

Questa non-comprensione, accentuata in questi ultimi tempi (ma già molto in voga negli anni novanta) portò il famoso scrittore Samuel P. Huntington a pubblicare, nel 1996, un celebre saggio dal titolo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Sebbene non sia del tutto d'accordo con la sua teoria, devo ammettere che se non si pone un freno alla semplificazione (per cui il mondo si divide in buoni e cattivi, dove i buoni sono sostanzialmente gli Occidentali e i cattivi gli Orientali) la fine che Huntington paventa nel suo saggio potrebbe essere più verosimile di quanto non si creda.

Per questo la memoria dell'11 settembre non deve essere solo il ricordo dell'attentato e delle vittime ma anche un punto di riflessione per capire in che direzione si voglia procedere.

Personalmente sposo appieno l'idea di Andrea Riccardi, per cui il dialogo è l'unica strada percorribile e necessaria. Bisogna dialogare con il nostro vicino per capire la complessità della sua cultura. Dall'accettazione dell'altro passa la salvezza del nostro mondo. Del resto in un mondo così globalizzato ormai non si può più pretendere di potersene stare isolati, magari trincerati dietro gli steccati della propria ignoranza. La coabitazione è l'unica strada per evitare il paventato "clash of civilizations" che porterà solo ad altre guerre e tensioni.