Probabilmente in molti si saranno chiesti il significato del nome attribuito alla riforma del lavoro ideata dall'attuale governo italiano: il Jobs Act, l' "anglicismo" di cui tutti ultimamente sembrano riempirsi la bocca (con pronunce tra l'altro spesso discutibili!). Bene, il termine di cui sopra in inglese non esiste. Job significa lavoro, ma usato al plurale come in questo caso, non ha senso. La traduzione letterale sarebbe infatti "Legge sui Lavori"… Pur tralasciando il fatto che in inglese "riforma del lavoro" si direbbe labour-market reform, c'è quantomeno una "s" di troppo, in quel "jobs" al plurale.

Alcuni sostengono che il Primo Ministro Renzi nel coniare il termine "Jobs Act" abbia voluto evocare il "JOBS Act "di Obama, una legge americana che riguarda i finanziamenti per l'avvio di piccole imprese (le famose startup di cui anche in Italia tanto si parla), in cui JOBS è un acronimo che sta per "Jumpstart Our Business Startups, e Act significa semplicemente legge.

Può essere, ma anche così si denota una certa leggerezza nella scelta, in quanto non ha nulla a che vedere con la riforma del lavoro in atto in Italia. Alcuni ipotizzano addirittura che il nostro premier si sia ispirato al film "Jobs", che narra la vita del grande imprenditore Steve Jobs, fondatore della Apple. Forse Renzi e il suo staff, chiaramente attratti dall'American dream, hanno voluto fare un riferimento al grande imprenditore, quasi un incoraggiamento a coloro che affrontano il mondo del lavoro?

Così hanno fatto un "copia incolla", senza pensarci troppo sopra, con fonemi statunitensi di grande appeal (perlomeno per loro).

In realtà secondo me l'uso di anglicismi, per quanto assurdi e inesatti, infonde nel popolo italiano un che di epico e accattivante, che fa sopportare meglio i cambiamenti, soprattutto se negativi.

Dopo la Spending Review, in questo caso giustamente traducibile in "revisione della spesa (pubblica)", ecco quindi un altro tormentone anglofilo. Peccato che stavolta si tratti oltretutto di inglese "farlocco". Ma a noi italiani piace fingerci sapientoni prendendo in prestito parole da altre lingue. Siamo esterofili, che fare? Questione di DNA (DeoxyriboNucleic Acid)!