Pare diventato l'argomento buono per tutte le stagioni tanto che, le due riviste di riferimento del Basket italiano "Superbasket" e "Basket Magazine" a distanza di mesi hanno deciso di puntare il faro sui troppi stranieri in campionato. L'ultimo allarme per la verità lo ha lanciato Gianni Petrucci presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, in seguito alla procedura di infrazione che l'Italia rischia dall'Unione Europea per la violazione delle norme sull'utilizzo degli stranieri nel campionato. Il regolamento federale infatti prevede un numero minimo di italiani nei roster delle squadre che per le norme europee non può essere superiore a un terzo, ma che la federazione ha imposto a cinque.

Norma quasi inutile data la scarsa presenza di italiani nei quintetti titolari.

Più che un campionato una lega di sviluppo 

Nel campionato italiano di serie A gli stranieri sono effettivamente tanti, ma a questo dato va affiancato il fatto che quelli che giocano hanno talento e lo dimostrano in termini di minutaggio e risultati. Il problema quindi si sposta sul bacino di utenza della nazionale, assai risicato nonostante questi anni abbiano visto la miglior produzione di talenti individuali (si pensi a Bargnani, Belinelli, Datome e Gallinari che giocano nell'Nba). Gli addetti ai lavori puntano il dito sulla formazione dei giocatori, da un lato costosa a livello di settori giovanili e dall'altro non così produttiva in termini di competitività tra giocatori di pari livello di altri campionati.

A ciò si aggiunge un mercato degli stranieri sempre più imbottito di giocatori di dubbio talento tanto che la Serie A, da campionato dove "svernavano" gli ex Nba è diventata una lega di sviluppo buona per giocatori in rampa di lancio per il mondo dei pro a stelle e strisce o per l'Eurolega, oramai anello di congiunzione tra i college Ncaa e appunto l'Nba.

Il livello dunque è inesorabilmente sceso, prova ne sia il fatto che sono più di dieci anni che una squadra italiana non vince l'Eurolega (dagli anni sessanta ha sempre figurato almeno una squadra di casa nostra per decennio) e non basterà l'estemporaneo ingaggio di Metta World Peace a invertire la tendenza.

Quali soluzioni possibili?

Il dibattito è aperto ma per ora rimane tale: l'unica strada percorribile sembra quella tracciata da Reggio Emilia o dalla Virtus Bologna, cioè puntare sui giovani talenti nostrani che però sono l'eccezione e non la regola. La chiave di volta potrebbe invece essere l'uscita dal torpore della tradizione italiana dei mecenati, presidenti tifosi ed appassionati come erano Scavolini o Benetton; ed entrare finalmente nel professionismo, con criteri di impresa per le squadre che prendono parte al campionato. I più esperti dicono che gli atleti italiani creano una fidelizzazione coi tifosi e questa può essere una tecnica di marketing, oggetto sconosciuto al movimento cestistico italiano.

Il professionismo autentico porterebbe alla stesura dei tanto millantati progetti e, abituati come siamo a squadre costruite un anno per l'altro, sarebbe senza dubbio un ulteriore progresso. A questo si dovrebbero aggiungere obblighi di solidità finanziaria onde evitare casi come quello di Siena e che farebbero si che si venga a creare equilibrio. Infine un mercato degli stranieri che guardi alla qualità non solo al portafogli. Piccoli passi se vogliamo banali, ma che servono per un basket finalmente adulto.