Ieri i telegiornali italiani hanno parlato di una notizia che proviene dagli Stati Uniti, l'ennesimo atto di violenza da parte di un poliziotto nei confronti di un afroamericano. Lo scorso sabato, a North Charleston (USA) un poliziotto, Michael Thomas Slager, ha ucciso un afroamericano colpendolo otto volte e dichiarando di aver agito per legittima difesa. La vittima, Walter L. Scott, era stata fermata qualche minuto prima dall'agente per un fanalino rotto della sua macchina. Il poliziotto poi, che aveva affermato che l'uomo gli aveva rubato il taser (notizia non ancora accertata) riprende a battibeccare con l'afroamericano e a sangue freddo, prendendo la mira, gli spara ben otto colpi mortali.

Il poliziotto ammanetta l'uomo, ormai morto, appoggia poi il suo taser accanto alla vittima (che servirà per confermare la tesi che già stava pensando di fornire), dichiara ai colleghi, che gli si avvicinano, che ha sparato per legittima difesa e solo dopo qualche ora ne dichiarano la morte.

Il poliziotto, Michael Thomas Slager, nel 2013 era già stato accusato di aver sparato con un taser ad un altro uomo ferendolo, senza motivo, ma Slager fu assolto dopo un'indagine interna della polizia. Il taser è un dispositivo usato dai piedipiatti americani che con l'uso dell'elettricità paralizza i muscoli dei soggetti. Uno strumento già inserito dall'ONU nella lista delle armi da tortura. Il fatto di sabato scorso è stato filmato da una persona che per ora rimane sconosciuta.

Un filmato, questa volta, che servirà a fare giustizia anche per quei casi recenti che hanno coinvolto altri uomini americani. Uomini come Micheal Brown, diciottenne ucciso, mentre comperava dei sigari, da un poliziotto a Ferguson (Missouri) per il semplice dubbio, dello stesso agente, che lo credeva - o forse se lo inventa - artefice di una rapina commessa poco prima.

Una giustizia che in qualche modo soddisferà anche, forse, la vedova Esaw Garner, che dopo aver perso suo marito Eric lo scorso luglio a causa del soffocamento provocatogli da un'agente, ha dovuto apprendere anche che la giuria di Staten Island (luogo dell'accaduto) ha deciso di non proseguire con un processo per l'agente.

Forse negli Stati Uniti, o almeno nelle zone più a rischio, c'è bisogno di un ripasso di quei sani principi gridati da Martin Luther King, colui che teorizzava la lotta non violenta e che si è battuto in prima persona per sconfiggere il pregiudizio etnico.

Certo l'Italia non è molto lontana dagli Stati Uniti almeno in termini di violenza e di tortura. Sì, perché in questi giorni il nostro paese è stato punito per gli atti di violenza eseguiti durante il G8 di Genova, ancora una volta da poliziotti che hanno abusato dei loro poteri, che hanno usato i loro manganelli e la loro divisa non per servire il paese né per difendere i civili, bensì per attaccarli senza alcun motivo.



E non è neanche lontana l'Italia dagli atti di razzismo degli Stati Uniti se solo pensiamo alle ultime affermazioni del politico Matteo Salvini contro i campi Rom. Non è, allora, una questione di razza, né una questione di mestiere, è una questione di umanità. Mi chiedo: cosa è passato nella mente di questi uomini quando hanno premuto il grilletto, quando hanno usato con forza i loro manganelli?

Ma ancora peggio: cosa passa nelle menti di questi uomini quando cercano di raggirare a loro favore prove e affermazioni? Queste mie domande non troveranno, forse, delle risposte, ma una certezza c'è: questi atti devono essere puniti giustamente!