Le aziende che hanno delocalizzato la produzione l'hanno fatto per il semplice motivo di aumentare in maniera esponenziale gli utili. Produrre in Cina e in tutti gli altri Paesi asiatici conviene perché si abbatte dell'80 % il costo della produzione. Anche in Slovenia, Bulgaria e in Romania sono stati impiantati stabilimenti italiani, anche se il risparmio sulla manodopera in questi Paesi sud-orientali dell'Europa è inferiore rispetto all'area asiatica.

Alcune strategie di marketing producono soltanto effetti negativi

Quello che apparentemente sembra una normale e legittima strategia di marketing, dagli sviluppi positivi dal punto di vista economico, molto favorevole per le imprese, ha di fatto creato una serie di problemi che il Governo deve prendere con urgenza in considerazione, al fine di evitare un altro evento catastrofico anche nel settore manifatturiero nazionale.

I principali effetti negativi della delocalizzazione sono due: l'aumento della disoccupazione e la scarsa qualità dei prodotti fabbricati all'estero. Ovviamente, per quanto riguarda la perdita di posti di lavoro nessuno può smentirli, mentre, a riguardo della qualità dei prodotti, benché i rivenditori italiani dichiarino che non è cambiato nulla e che la merce è sempre di ottima fattura e i materiali di prima scelta, di fatto i prodotti "made in China" o meglio, made in R.P.C., come si evince dalle targhette apposte sui prodotti da un paio di anni a questa parte, sono incomparabili rispetto ai prodotti ex "made in Italy". Le lamentele sono all'ordine del giorno a riguardo di qualsiasi prodotto: dall'abbigliamento ai tecnologici.

Ci rimettono tutti tranne gli imprenditori

Gli effetti della delocalizzazione si fanno sempre più sentire e, a pagare il prezzo più caro sono i lavoratori licenziati. Il Governo non può rimanere indifferente di fronte alle scelte (seppur legittime) delle aziende intenzionate a trasferire la produzione negli Stati dove i costi riducono in alcuni casi anche dell'ottanta per cento.

Non è ammissibile e neanche sostenibile per lo Stato italiano accollarsi l'onere dell'indennità di disoccupazione (diventata NASpI col Decreto approvato il 20 febbraio 2015) delle migliaia di dipendenti rimasti senza lavoro a causa delle delocalizzazioni.

Una palese contraddizione

Com'è possibile che il PIL possa risalire se i più importanti marchi italiani hanno impiantato le proprie filiere all'estero. Sostenere che l'economia italiana è in ripresa quando allo stesso tempo sono rimaste sul territorio soltanto gli artigiani e le piccole imprese è veramente un paradosso.