Giornalista di Limes, rivista italiana di geopolitica, Giorgio Cuscito è esperto delle dinamiche in atto nella grande regione asiatica bagnata dall’Oceano Pacifico. Gli abbiamo chiesto un’analisi sul vertice svoltosi pochi giorni fa a Singapore tra i governi di Repubblica Popolare Cinese e Taiwan.
Secondo lei, Cuscito, cosa speravano di ottenere da questo incontro Xi Jinping e Ma Ying-jeou?
«Non si aspettavano alcuna svolta di carattere concreto. E’ stato certamente un incontro di portata storica perché è il primo dalla fine della guerra civile, ma era funzionale alle vicende interne dei rispettivi paesi.
Per il leader taiwanese Ma il summit è avvenuto a meno di due mesi dalle elezioni presidenziali alle quali non potrà partecipare per limite di mandati. Gli ultimi sondaggi danno il suo partito, il Gmd, in forte svantaggio rispetto a quello progressista, il Pdp. Diciamo che questa è stata l’occasione per riaffermare il ruolo del Gmd come partito pragmatico e di governo, capace di garantire a Taiwan lo status quo nei rapporti con Pechino. Voleva essere la risposta di Ma alle critiche che gli sono piovute addosso nel suo Paese per la troppa vicinanza alla Repubblica Popolare Cinese attestata, d’altronde, dai fiorenti scambi economici che durano dal 1993, anno del disgelo.
Da parte sua, la Cina intende consolidare il dialogo con Ma, legittimandolo come partner politico, anche se provvisoriamente, agli occhi dell’opinione pubblica taiwanese.
Xi Jinping auspica infatti la continuità governativa nell’isola con la vittoria del Gmd. Se invece dovessero vincere i progressisti il processo di distensione potrebbe subire una brusca interruzione. Inoltre Pechino è alle prese con una serie di complicate dispute marittime nel Mar Cinese meridionale, sul quale intende estendere la propria egemonia, con Giappone, Vietnam e soprattutto Stati Uniti.
La Cina pertanto desidera evitare tensioni con Taiwan anche perché c’è in gioco il controllo dello strategico stretto di Formosa. Non c’è dubbio comunque che l’obiettivo a lungo termine del governo comunista sia quello di riannettere l’isola ribelle in linea con il principio della “Cina Unica”».
Perché l’opinione pubblica taiwanese respinge con forza ogni ipotesi di riunificazione con la Cina continentale?
«Nell’isola sono convinti che tornare sotto Pechino significhi perdere le fondamentali libertà politiche, economiche e civili conquistate in questi decenni e sono quindi decisi a proteggere la loro trentennale democrazia».
Per Taiwan non potrebbe essere adottato il “modello” Hong Kong?
«In realtà non è un modello. Hong Kong è una regione amministrativa speciale, ma il sistema utilizzato per l’elezione del governo della città è imposto da Pechino. Nei fatti, politicamente Hong Kong non è autonoma».