Matteo Bianchi è un poeta di Ferrara, autore di alcune raccolte poetiche, tra cui l'ultima, "La metà del letto" e che vanta la prefazione di Roberto Pazzi, scrittore di fama nazionale in certa letteratura umanistica spesso polemica verso le avanguardie e l'era elettronica. Bianchi non si discosta da tale copione un poco diversamente passatista e neobucolico, dal punto di vista analitico letterario. Scrive anche su alcune testate giornalistiche, tra esse la Nuova Ferrara, quotidiano locale della città d'arte estense. E' già stato segnalato dalla stampa e dai media nazionali (L'Unità, RaiNews e altre testate).

Nostra recensione esclusiva per Blasting News.

La letteratura è morta?

Il grande sociologo eretico, ma non solo, Baudrillard, tra i principali cosiddetti iperrealisti e studiosi dissacranti della nascente società elettronica, alcuni anni fa destò scalpore per un pamphlet, "La sparizione dell'arte" (Abscondita), in cui denunciava la fine dell'arte e della letteratura. Il libro in questione del poeta Bianchi, "La Metà del Letto" (Barbera, 2015), recentemente uscito e che recensiamo, in certo senso, sembra un pistola fumante per le teorie radicali del sociologo stesso francese. Pur con un linguaggio grammaticale formalmente ineccepibile dal punto di vista strettamente scolastico e un lirismo scorrevole e interessante per i fruitori della letteratura salottiera, moderata e conservatrice, poco incline ai voli perturbanti della grande parola europea, da Rimbaud a Pound a Caraco e Enzensberger, l'avanguardia stessa storica e contemporanea, da Marinetti e Breton alla fantascienza di P.

K. Dick o William Gibson o gli stessi Dan Brown e Stephen King, l'esito finale evoca in modo ridondante la poetica stessa dei vari Sereni, Caproni, Luzi e anche Pazzi. Come appare nella stessa introduzione di quest'ultimo, almeno in controluce e criticamente parlando, la parola appare, in certo senso, fine a sé stessa, un simulacro, come direbbe appunto Baudrillard, della grande sperimentazione linguistica, anche per la poesia, di cui furono protagonisti i vari Joyce o lo stesso Wittgenstein, della parola stessa dopo Lacan, il teorico del Reale e dell'Immaginario.

In Bianchi e lo stesso Pazzi, l'immaginario non è dialettico e danzante con il reale e la sublime-azione del gioco dei segni e dei significanti, per dirla con gli stessi Greimas e Lotman, grandi esperti della semiotica anche letteraria, è una sorta di difesa nostalgica dal divenire del mondo e dal futuro venuto alla luce.

La retorica dell'amore

Come appare da diverse recensioni, in particolare da PoesiaBlog/RaiNews, secondo Bianchi, l'amore sarebbe la soluzione esistenziale, tipo la Poesia salverà il mondo, contro l'alienazione contemporanea della tecnologia e del consumismo dei valori. Bianchi, a nostro avviso, elabora a livello intertestuale tale dinamica magari attraversando l'amore stesso dopo la modernità e le sue variabili fenomenologiche cosiddette "gender". Emerge una diversamente gaia letteratura, in ciò sulla scia dello stesso Pazzi in certa sua poetica e in particolare nel libro recente "D'amore non esistono peccati", per dirla alla Onfray, altro filosofo francese assai noto e controculturale. Ma ancora una volta, pur brillante sul piano formale, l'esito appare liquido e minimale, rispetto magari al neocinismo leggero e appunto tipo gaia scienza niezschiana suggerito da Onfray o da certa tradizione letteraria di riferimento rivoluzionaria da Oscar Wilde a Jean Genet a Pasolini stesso.