Tutto come previsto.I democratici riuniti nella convention di Philadelphia hanno fatto quadrato intorno alla Clinton, mettendo da parte polemiche e scontri che in un'occasione diversa avrebbero messo un freno potente alla candidatura dell'ex first lady. I supporters di Sanders, quelli che per tutto il corso delle primarie hanno appoggiato il senatore che ha avuto il coraggio politico di deprecare il "socialismo dei ricchi" e portare in luce un'america profonda nella quale la reazione ai privilegi del sistema è molto sentita, si sono dovuti accodare all'invito pressante del loro leader: votiamo Hillary per impedire a Trump di arrivare alla Casa Bianca.

Medesimo concetto quello che ha animato i discorsi di tutti i relatori, compresi i più importanti, dall'altro ex Clinton, il popolare Bill, all'attuale presidente Barack Obama che, tuttavia, ha colto l'occasione per fare un bilancio del suo lungo mandato. Infine, l'intervento di Bloomberg, il democratico poi passato al campo repubblicano ed ora autorevole indipendente. L'ex sindaco di New York ha usato parole pesanti contro Trump praticamente definito poco meno che un imbroglione. La posizione di Bloomberg è la più importante per la Clinton assieme a quella di Sanders. Tuttavia, entrambi non hanno mancato di rilevare comela scelta corrisponda al male minore. Non un grande avvallo alle presunte qualità della candidata democratica.

La paura di Trump

Il vero collante dei democratici è dunque il timore di Trump, un timore che diventa panico a leggere l'evocazione che del candidato repubblicano hanno fatto tutti i relatori. Con qualche incoerenza di fondo: hanno parlato di Trump come di un candidato demagogo che vuole ottenere la vittoria suscitando paure negli americani.

Tuttavia, sembra che oltre al possibile disastro che rappresenterebbe l'arrivo a Washington del multimiliardario newyorkese, non ci sia altro che regga la corsa della Clinton. E' poco per avventurarsi in una campagna nella quale, invece, Donald Trump potrebbe assumere stabilmente il ruolo del protagonista, dettando l'agenda politica anche della sua contendente.

La crisi dei vecchi partiti

Indubbiamente, se c'è una questione che fin qui è venuta emergendo è la crisi nelle leadership dei partiti tradizionali. I repubblicani hanno dovuto accettare l'irresistibile ascesa di un "atipico" come Trump che si presenta come innovatore profondo rispetto alle posizioni ideologiche del grand old party, aprendo un fronte di attenzione verso le comunità (e quindi verso i diritti) LGBT e soprattutto verso la classe media americana. I democratici, dal canto loro, stanno ripiegando su un candidato da establishment come la Clinton che appare molto meno autorevole di quanto non si tenti di far credere all'opinione pubblica.

Dopo Obama sembra esserci il vuoto e se la Clinton non dovesse farcela sarà crisi anche per loro.

I contenuti della comunicazione

Ogni campagna elettorale si gioca sulla capacità dei candidati di convincere gli elettori, è banale scriverlo. Tuttavia le premesse di questa campagna presidenziale ed il profilo dei due candidati fanno ritenere che la polarizzazione in atto imporrà ai rispettivi staff di concentrarsi molto sul valore delle proposte. Sembra paradossale ma sarà così: in questa campagna i contendenti saranno costretti ad inseguire gli elettori su questo versante poichè i due - l'atipico e la prima donna - sono meno credibili di quanto pensino.

D'altronde, per Trump i contenuti sono adesso un imperativo dopo i lazzi delle primarie, perchè dovrà convincere soprattutto i moderati. Ed un Trump che devia sui contenuti, corroborati dal suo linguaggio diretto, attrae molto l'attenzione.La Clinton invece dovrà abbandonare la paura anti-Trump perchè questa può valere nel campo democratico ma non nella campagna elettorale che si concluderà a novembre. Quindi sarà chiamata, come minimo, a fare la chiosa al programma di Trump e spiegare cosa lei abbia in mente per un'america "arrabbiata" e delusa.