Le campagne di prevenzione si sono trasformate, negli anni, in campo di applicazione delle peggiori pratiche sulla comunicazione. Il problema scaturisce dalla gestione ideologica dei temi affrontati, sui quali una triste semplificazione si sovrappone al ragionamento accurato. Così,tutte le campagne hanno generato pessimi risultati, un flop annunciato che non ha evitato un inutile spreco di denaro pubblico.

Un po' di teoria

Esiste ancora chi crede che alla comunicazione persuasiva si applichi un modello unidirezionale, quello "ipodermico", basato sulla stretta e diretta relazione tra causa ed effetto.

Messaggio: il fumo fa male. Effetto: tutti smettono di fumare. Non è affatto così, e quest'approccio teorico affonda le radici nella preistoria della comunicazione.

Esiste una vasta serie di fattori che rivestono importanza nei nostri atteggiamenti: se correttamente consideriamo l'atteggiamento come la tendenza a valutare con un grado di favore o sfavore un fenomeno, allo stesso tempo dobbiamo ammettere che la saldezza di un'opinione - ovvero di un personale modo d'essere e di vedere la realtà - non è sempre il risultato di un accurato e prolungato ragionamento, ma il collocarsi in un sistema di relazioni sociali e culturali che generano influenze. Con quale grado di certezza in ciascuno di noi si forma un'opinione che diventa atteggiamento?

E per quanto tempo? Si ha idea di comeun atteggiamento dipenda da semplici informazioni scevre da implicazioni valutative rilevanti, ovvero da stati emotivi, umore o dissonanza cognitiva?

L'atteggiamento è unabussola che permette di prevedere icomportamenti altrui: è questo che consente aduna persona di vivere nel mondo. Dunque, impariamo ad interagire apprendendo il funzionamento del sistema sociale nel quale siamo inseriti, e tale apprendimento è il risultato di mediatori sociali, le persone stesse ed i media.

Due esempi molto banali: l'educazione impartita dai genitori; la fiction televisiva che crearelazioni narrative con ambiti di realtà sconosciuti, come le attività investigative di polizia.

Dalla teoria alla pratica

Ignorando le motivazioni (ed il loro grado) che costituiscono gli atteggiamenti, non è possibile farecomunicazione persuasiva.

Da qui non si scappa. Peraltro, essendo i comportamenti molto variegati, come agire se non si ha la percezione di un minimo comune denominatore? Senza uno studio preliminare, aperto e mai orientato ideologicamente, non si arriva da nessuna parte, anzi, si arriva a fare inutili e costosecampagne sociali, come quella messa in piedi dal Ministero della Salute.

Classico poi è l'errore di puntare sull'appello alla paura, identificando in un comportamento ritenuto nocivo possibili conseguenze negative che, però, spesso generano un effetto contrario. Qui si è andati oltre: il comportamento nocivo è stato associato ad un "modo d'essere" più che ad un atteggiamento, scatenando condivisibilicritiche.

Qual è il comportamento corretto?

L'errore risulta ancora più profondo se si considera che l'opuscolo in questione identifica, con un certo grado di chiarezza analitica, il presunto "comportamento scorretto", mentre è piuttosto lacunoso nell'offrire una rappresentazione sintetica che non indica nulla in termini di presunto atteggiamento corretto, che mostra in realtà un modo d'essere, accentuando così la fondatezza di critiche più che ragionevoli sulla discriminazionerazziale.

Effetto ideologico

Oltre che il responsabile della comunicazione, andrebbe messo alla porta anche il ministro Lorenzin per aver avallato una simile iniziativa: la contraddittorietà del messaggio ha prodotto un effetto opposto,incentrato sulla contrapposizione ideologica più che sulla sostanza del tema in questione.

Le iniziative future dovranno scontarne l'incidenza negativa. Glieffetti di una campagna di comunicazione sbagliata sono imponderabili: le interazioni generate avranno influenza sull'atteggiamento delle persone entrate in relazione con questa comunicazione. Un disastro.