Sfruttando una delle interessanti novità introdotte da Boeri, cioè la maggiore accessibilità ai dati - vedere il sito www.inps.it nella sezione Informazioni - si arriva ad un documento molto interessante e paradigmatico della attuale distribuzione dei “sacrifici” che tanto fecero lacrimare una nostra ministra. Il documento dell'INPS descrive come i lavoratori del comparto sicurezza, ancora nel corso del 2015, potevano accedere al pensionamento di vecchiaia con limiti di età inferiori rispetto al resto del personale dipendente dello Stato (e dei lavoratori in generale).

In sostanza, questi lavoratori maturano il diritto alla pensione di anzianità a 57 anni e 3 mesi con 35 anni di anzianità contributiva, oppure - a prescindere dall’età anagrafica - con 40 anni e 3 mesi di contributi versati.

Questo al netto delle agevolazioni legate alla gravosità del servizio (es. servizio di confine, di volo, impiego operativo, ecc.). Maggiorazioni che permettono il raggiungimento dei requisiti per la pensione con un massimo di 5 anni di anticipo ulteriore. Tralasciando, per ragioni di brevità, di descrivere altri trattamenti di favore come la pensione privilegiata, la pensione ausiliaria e i vantaggiosi coefficienti di calcolo applicati al comparto, appare evidente la prima disparità: per tantissimi lavoratori, la pensione di anzianità contributiva è stata abolita (trasformandosi in pensione “anticipata”, magari con 43/44 anni di lavoro) mentre per alcuni privilegiati permane.

Ma la parte più interessante attiene al trattamento economico. Ricalcolando con il metodo contributivo le Pensioni erogate nel comparto sicurezza, attraverso l’esame di un campione di 13.000 pensioni di vecchiaia ed anzianità con decorrenza compresa tra il 2010 e il 2015, si evincono dati sorprendenti: il 90% delle pensioni esaminate ha una età anagrafica, alla decorrenza, non superiore ai 57 anni.

Inoltre, più del 90% dei trattamenti economici in essere subirebbe, con il calcolo contributivo, una riduzione dell’importo percepito compresa tra il 40% e il 60%.Per fare alcuni esempi concreti: un dirigente della prefettura, andato in pensione all’età di 60 anni nel 2010 e titolare di una pensione lorda mensile di 6.450 euro, percepisce un “bonus” di 3.290 euro mensili rispetto a quanto spettante attraverso il calcolo dei contributi versati.un ufficiale di Marina, andato in pensione all’età di 52 anni nel 2010, attraverso il calcolo dei contributi effettivamente versati, vedrebbe il suo assegno pensionistico passare dagli attuali 5.730 euro mensili a 2.750 euro, naturalmente sempre mensili.un sottufficiale, andato in pensione all’età di 54 anni nel 2013 e percettore di una pensione di 3.030 euro lordi mensili, vedrebbe il suo assegno, calcolando i contributi realmente versati, passare a 1.520 euro.

Chi si fa carico del "regalo" cioè della parte eccedente, non coperta dai contributi versati, di queste pensioni? Presto detto: attraverso una vera e propria truffa a danno dei lavoratori chiamata “aspettativa di vita media” pagano - attraverso i contributi versati e non goduti - tutti i lavoratori meno qualificati, con basso livello di istruzione e di reddito e con lavori caratterizzati da mansioni gravose e poco salubri.

Questi, in base alle statistiche e alla letteratura medica, vivono mediamente fino a 4/5 anni meno della aspettativa di vita “ufficiale”. Si potrebbe provare a portare equità in questo sistema, evidentemente diseguale? Sì. Come fare? Tassando in modo progressivo la parte di pensione percepita e non giustificata dai contributi versati.

La riduzione dei trattamenti pensionistici si aggirerebbe mediamente tra il 3% e il 7%. Si tratterebbe, in tutta evidenza, di un sacrificio sopportabile da parte di chi percepisce pensioni elevate o molto elevate. Con le risorse economiche ottenute si potrebbe reintrodurre la pensione di anzianità con 41 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica.