Waldemar Januszczak è uno storico dell'arte e divulgatore televisivo controverso. Più divulgatore che storico dell'arte, risulta simpatico nella sua franosa sintassi, ma del tutto fantasioso nelle sue ricostruzioni artefatte. Se fosse uno storico equilibrato, il suo essere dissacrante dovrebbe spandersi da capo a fondo del mondo dell'arte. Invece, Januszczak vuole gettare una pesante ombra sulle espressioni creative che si svilupparono nella penisola italica per inculcare l'idea che le luci del Rinascimento sarebbero appannaggio del nord Europa.

E' questa la tesi di fondo del suo programma su Rai 5.

Giorgio Vasari trattato come un critico contemporaneo

Le "Vite" di Vasari ebbero una prima edizione datata 1550, cui ne seguì una seconda nel 1568. Ora, Waldemar Januszczak parte dalla ricostruzione storiografica di un illustre conoscitore dell'arte del '500 per articolare la sua versione irriverente del Rinascimento. E dialoga fittiziamente con lui per dimostrare la fondatezza delle proprie tesi. Un'assurdità. E' come se si sbeffeggiasse Newton basandosi su quanto oggi si conosce delle equazioni di Einstein. Giorgio Vasari fu, come tutti, uomo del suo tempo. Rimane una fonte di enorme valore per la storia dell'arte, ma non può diventare l'antagonista muto di una critica.

E nemmeno di una tesi costruita su un preconcetto.

Riclassificazioni arbitrarie e provocatorie

Waldemar Januszczak mischia un po' di tutto: giotto e Piero della Francesca, Beato Angelico e Simone Martini, Van Eyck e Dürer, il '300 e il '400, saltando come fosse nulla al '500 inoltrato, dimenticando stili e temi figurativi, tralasciando la lunga stagione del gotico, riesumando, nel suo modo arbitrario di raccontare lo sviluppo dell'arte in tre secoli fitti di avvenimenti, un aspro e derisorio anticonformismo tipico dell'Ottocento romantico.

Il risultato è grottesco: ad esempio, per etichettare Savonarola come un mistificatore, fa ricorso alla confessione estorta al monaco domenicano sotto tortura. Sparisce dalla narrazione di Januszczak ogni riferimento alla politica e alla società. Insomma, egli si dimentica di essere uno storico e diventa una sorta di apprendista stregone col solo fine di compiacere un pubblico impreparato.

Ovvero, di provocare un pubblico mediamente colto.

L'arte compressa e le regole della divulgazione

Occorre precisarlo: in quattro puntate di un programma TV, raccontare il Rinascimento è un'impresa che presenta oggettive difficoltà. Waldemar Januszczak ha così deciso di scegliere la via breve, narrando una suggestione ma forzandola oltremisura. Se è vero che nemmeno in un articolo si può dire tutto, non è accettabile, tuttavia, incasellare le espressioni artistiche in un sistema di valori gerarchici infondati, comprimendo tre secoli in un unico filone di rappresentazione che non è più il Rinascimento. La TV laddove divulghi, non è necessario che divenga il luogo dell'approssimazione. Si può raccontare l'arte rinascimentale senza comprimere in un pastone informe epoche, datazioni, periodi, stili, iconografie, luoghi, artisti e storie.

L'esempio qualificante di Philippe Daverio

Anche Daverio è un provocatore. Ma coltissimo ed acuto. Non ha mai preteso di narrare un tema in poche battute costruendo tesi banali. Al contrario, Daverio ha il gusto dell'osservazione puntuale e profonda e della sintassi interrogativa, tipica dello studioso aperto al ragionamento. Waldemar Januszczak tende invece verso la dimostrazione di un teorema. A quest'obiettivo piega ogni evidenza collezionando elementi - dipinti e sculture - utili a confermare piuttosto che condurre ad una riflessione. Certo, così facendo rende la divulgazione alla portata di tutti. Ma se a mancare è la qualità dei contenuti, si fa fatica a chiamarla divulgazione e non intrattenimento a buon mercato. E al pubblico manca tanto l'originalità e l'acume inappuntabile di Philippe Daverio su Rai 5.