Nubi oscure e minacciose si addensano sulla mal assortita Unione Europea, e non certo da oggi. Ben prima della Brexit e della vittoria negli Stati Uniti del Trump sovranista ed isolazionista, a quanto pare pronto a rimettere in discussione storici legami col vecchio continente, quest'ultimo aveva già subito, inevitabilmente, i contraccolpi della tragica destabilizzazione del Medio Oriente e della feroce guerra separatista scatenatasi nel Donbass, eventi ambedue innescati e alimentati ad hoc (ma guarda un po'!) proprio dalla NATO a trazione USA.

Ma non basta. A farsi del male, infatti, "questa" Europa aveva già ampiamente provveduto legandosi mani e piedi al modello socio-economico promosso oltreocèano negli anni '70 dai «Chicago Boys» e imposto al mondo dal poderoso complesso militare-industriale del nuovo continente: il Neoliberismo.

Una idea già vista in Cile

Il primo esperimento di creazione di uno Stato neoliberista, "vale la pena ricordarlo, si verificò in Cile dopo il golpe di Pinochet, avvenuto l'11 settembre 1973" e venne organizzato sì dalle élite economiche nazionali, ma "con l'appoggio delle grandi società americane, della Cia e del segretario di Stato Henry Kissinger" (David Harvey, Breve storia del neoliberismo, trad. it., il Saggiatore, Milano 2007, p.

17). Ecco perché cianciare di globalizzazione in generale senza la necessaria specifica, ossia omettendo di puntualizzare che trattasi di "globalizzazione neoliberista", se non fosse tragico farebbe solo ridere i polli. È la poderosa accumulazione di capitale conseguita da grandi corporation grazie alla depredazione selvaggia del "terzo mondo", e servendosi ad hoc del potenziamento di istituti internazionali quali la Banca Mondiale, il FMI e il WTO, che ha permesso tanto l'accentramento di enormi ricchezze nelle mani di pochi, giganteschi gruppi finanziari, quanto la successiva imposizione dall'alto di una "grande ristrutturazione dell'economia globale in senso appunto Neoliberista".

#EURO, Gran Bretagna come il cavallo di Troia

E in Europa, il 'cavallo di Troia' per l'applicazione di quella che abbiamo definito la "gabbia" è stata la Gran Bretagna (con la Thatcher), da sempre fida gregaria degli USA; e successivamente Blair, invece di provare almeno ad invertire la rotta, proseguì convintamente nel rafforzamento della gabbia stessa, snaturando così per sempre il concetto stesso di "sinistra".

E vale la pena rammentare che nel frattempo l'unico politico europeo che aveva seriamente provato a configurare un modello socio-economico alternativo era stato il premier socialdemocratico svedese Olof Palme, ma venne brutalmente assassinato nel febbraio del 1986, pochi giorni dopo aver concesso la sua ultima intervista, uscita postuma e più che significativamente intitolata Siamo tutti in pericolo. Da allora la gabbia Neoliberista è calata e si è stretta sempre più attorno alle economie reali, ovvero alle esistenze concrete degli umani. E se, come abbiamo già scritto, il materiale di cui essa è fatta si chiama deregulation, tra le sue singole, robuste sbarre spiccano, specie nell'eurozona: la pesante crisi bancaria trasformata 'autoritariamente' in crisi dei bilanci pubblici, e scaricata così sulle spalle dei cittadini (cfr.

Luciano Gallino, Il colpo di Stato di banche e governi. L'attacco alla democrazia in Europa, Einaudi, Torino 2013, Parte seconda, Cap. 6); la famigerata soglia del 3% sul deficit/Pil elaborata negli anni '80 da un giovane, oscuro funzionario del governo di Mitterand, un parametro "deciso in meno di un'ora, senza basi teoriche” (vedi Il Sole 24 Ore del 29 gennaio 2014). Di qui la carenza strutturale, soprattutto nei Paesi del sud e dell'est Europa, di risorse fondamentali per contrastare un diffuso impoverimento delle popolazioni autoctone (o, in taluni casi, per rispondere adeguatamente a croniche calamità naturali!) o per governare inarrestabili fenomeni epocali come le massicce migrazioni.