È da un quarantennio che, a livello socioeconomico, assistiamo ad una vera e propria offensiva di classe. La grande finanza speculativa, incarnata da azionisti di grosse banche d’affari e di giganteschi gruppi multinazionali, nel mentre provvedeva a mutare strutture e modalità operative del capitalismo, sferrava un micidiale attacco alle condizioni “medie” di vita delle società civili, cominciando con lo stracciare progressivamente diritti umani e civili fondamentali faticosamente conquistati attraverso sanguinose lotte storiche, e finendo per rendere precaria l’esistenza materiale di milioni di individui.

Naturalmente ci riferiamo qui in primis ai sistemi sociali dell’Occidente avanzato (USA e UE in testa) visti dal loro “interno”, ma tenendo ben presenti i due elementi fondanti della forma di capitalismo predatorio che li caratterizzano da secoli nel loro agire “esterno”: 1) lo sfruttamento sistematico delle risorse delle società meno sviluppate (non a caso nel loro complesso lasciate, attraverso colonialismo e neocolonialismo, “eternamente” in via di sviluppo); 2) la non meno sistematica devastazione di interi ecosistemi (con gravissime ricadute, ormai sotto gli occhi di tutti, sulla salute del nostro pianeta e dei suoi abitanti). Che l’indiscutibile successo di tale poderosa offensiva delle classi dominanti (un successo dal "loro" punto di vista, ovviamente, stante la terribile crisi epocale in cui, favorendo pochi, ha piombato i più!) sia ascrivibile all’avvento di una nuova ideologia, seducente quanto priva di scrupoli, impostasi rapidamente su scala globale come “pensiero unico” (cfr.

David Harvey, Breve storia del Neoliberismo, trad. it., il Saggiatore, Milano 2007), o ad un vero e proprio golpe dei “poteri forti” (cfr. Luciano Gallino, Il colpo di Stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Einaudi, Torino 2013) - due tesi peraltro perfettamente compatibili e complementari - un dato salta agli occhi nella sua evidenza cristallina: tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il fondamentale apporto e la stretta complicità di tutti i maggiori partiti tradizionali, compresi quelli “sedicenti progressisti”!

È infatti senza alcun dubbio reiterato il loro contributo alla costruzione e al consolidamento del “sistema vigente”, e nella fattispecie del suo specifico strumento di dominio, ovvero di ciò che qui definiamo la “gabbia del Neoliberismo”.

#Gabbia del Neoliberismo

La 'materia' di cui è fatta questa gabbia coincide con la sua parola d'ordine 'universale', deregolamentazione (dall'inglese deregulation), quel processo per cui governi e Stati, confidando ottusamente nel mercato come organismo capace di autoregolarsi, hanno eliminato progressivamente ogni restrizione e controllo sull'economia (a partire dagli anni settanta, sulla base soprattutto delle teorie di Milton Friedman, che allora insegnava all'Università di Chicago; vedi le relative politiche della Thatcher in GB e di Reagan negli USA).

È questo che ha portato alla mostruosa proliferazione della speculazione finanziaria oggi in grado di 'ricattare' l'economia reale di intere nazioni (col concorso di strumentali spread e famigerate agenzie di rating, non a caso partecipate da grandi multinazionali), che ha prodotto ineguaglianze e ingiustizie impensabili persino nel più selvaggio dei capitalismi tradizionali, che ha piombato il mondo in una crisi (non solo economico-finanziaria) senza precedenti, una crisi che con le mine a tutt'oggi vaganti dei derivati tossici e delle bolle immobiliari è ancor sempre dietro l'angolo! Ebbene, se nella gabbia neoliberista ci hanno gettato forze politiche e governi di establishment - in Europa soprattutto popolari e (pseudo)socialisti, questi ultimi a partire dall'era blairiana -, per cominciare a tirarcene fuori non possiamo che partecipare di nuovi movimenti genuinamente anti-sistema, non sciovinisti, il cui 'laboratorio più avanzato' è oggi costituito, a nostro avviso, da DiEM25 di Varoufakis.