Un magistrato sgradito a tutti. Questo è stato Giovanni Falcone. Nemico giuratissimo di cosa nostra, criticato da politici, invidiato e ingombrante persino per numerosi suoi colleghi. Sebbene grazie ai suoi successi, per la prima volta, si è potuto affermare con certezza che la mafia "esiste", il trattamento riservato in vita a quest'uomo non è stato per niente proporzionale alla passione messa in campo e al suo instancabile lavoro nella lotta contro il crimine organizzato.

Dopo la magnifica esperienza del pool antimafia, che ha permesso di mettere alla sbarra il gotha della cupola siciliana nel maxi processo (86-87), Falcone ha subito feroci attacchi personali e clamorose "bocciature".Già all'epoca, all'interno del palazzo di giustizia di Palermo, iniziava ad operare la macchina del fango per screditare il suo operato ed isolarlo.L'amico e collega Paolo Borsellino, che con lui ha condiviso anche lo stesso tragico destino, in seguito dirà, "Giovanni ha iniziato a morire proprio in quel momento".

Nel 1988 Antonino Caponnetto si dimetteva da capo dell'ufficio istruzione ed il giudice palermitano sembrava essere l'erede naturale. Così non sarà. Infatti il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferirà Antonino Meli, fortemente sponsorizzato da Vincenzo Geraci. Il criterio di anzianità, sollevato da quest'ultimo, sarà decisivo nell'elezione. E chi se ne frega se lo stesso Geraci, un anno prima, aveva sostenuto la candidatura di Paolo Borsellino a Procuratore di Marsala, senza tenere conto dell'anzianità di servizio.

Un altro colpo, forse mortale in termini di isolamento, gli verrà inferto nel 1991, quando la magistratura scioperò contro la legge che istituisce la procura nazionale antimafia a lui destinata.

In quell'occasione Gianfranco Viglietta, magistrato del CSM, in una lettera al presidente della repubblica Cossiga, sottolineò le doti di indipendenza dell'antagonista, Agostino Cordova, affermando che il criterio della popolarità non si addice con tale carica".In altre parole, il messaggio che Viglietta voleva fare passare è che Falcone è una rockstar, un divo, quindi istituzionalmente non professionale.

Il rapporto con la politica

Molti di quelli che oggi celebreranno Falcone da morto, mentre era vivo lo hanno aspramente criticato. All'indomani della bomba inesplosa all'Addaura (89) fu anche accusato di auto-attentato. Il deputato del pci Gerardo Chiaromonte, all'epoca presidente della commissione parlamentare antimafia, ricorda che la voce era stata messa in giro dalla Rete, il movimento politico guidato da Leoluca Orlando.

Ed è proprio l'allora sindaco di Palermo che, in una seguitissima puntata di Samarcanda del 1990, si scaglia contro Giovanni Falcone e Roberto Scarpinato accusandoli di coprire i delitti eccellenti ed additandoli come andreottiani. Pochi anni dopo sarà lo stesso Scarpinato ad istituire il processo per mafia contro Andreotti.

Singolare è il caso di Cuffaro, presidente della regione, che nella stessa puntata lancia accuse non meglio precisate contro il giudice siciliano. Ma qui forse Totò "vasa vasa" si stava allenando per i futuri scontri che da lì a poco avrà con la procura di Palermo e dalla quale sarà condannato per associazione mafiosa.In quell'episodio era importante solo fare la voce grossa e insinuare il dubbio su un personaggio scomodo, ingombrante e da quel momento in poi sempre più, irrimediabilmente, solo.

Rimane tuttavia una domanda ancora aperta a cui sono state date solo mezze risposte. Chi avrebbe beneficiato della morte di Falcone? In quella stagione, siamo agli albori di mani pulite, si è verificata una convergenza di intenti tra la mafia stragista corleonese e il nuovo che stava avanzando in politica, ovvero la nascente Forza Italia di Silvio Berlusconi, orfana di Bettino Craxi. Illuminante su questo punto un'intervista rilasciata da Borsellino, due giorni prima della morte di Falcone, ai giornalisti francesi Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi in cui afferma che Berlusconi e Dell'Utri sono indagati per associazione mafiosa.