È la terribile notizia di oggi: l’ennesimo femminicidio e, mai come in questi casi, questo termine fa paura, di più, inquieta profondamente, perché i due protagonisti sono adolescenti. Lei, 16 anni, sparita il 3 settembre da Specchia, nel Salento; lui, 17 anni, suo fidanzatino. Il cadavere di Noemi, questo il nome della ragazza, è stato ritrovato all'interno di un pozzo, nascosto sotto alcuni sassi, a Castrignano del Capo ed è stato lo stesso assassino, dopo aver confessato il delitto, a condurci i carabinieri.
Cadavere, assassino. 16 anni, 17 anni.
Brividi, sconcerto. Ma veniamo ai fatti. Il 3 settembre Noemi scompare e l’ultimo ad averla vista è il suo ragazzo che dice di averla lasciata vicino al campo sportivo di Alessano. Passano i giorni, ma di Noemi non c’è traccia, la scomparsa volontaria perde corpo perché Noemi ha lasciato a casa smartphone, soldi e vestiti. Contemporaneamente vengono a galla una serie di antefatti preoccupanti: la mamma della giovane aveva segnalato alla procura dei minori il fidanzatino della figlia perché, ultimamente, era diventato violento e la loro relazione era molto turbolenta.
C’era, di conseguenza, un procedimento penale per violenza e un altro, civile, per verificare il contesto familiare in cui vive il giovane e se ci fossero procedure atte a contenere la sua indole violenta.
Nessuno di questi procedimenti ha portato ad alcun provvedimento cautelare, uno per tutti sarebbe stato necessario il divieto di avvicinarsi alla ragazza. I carabinieri che indagavano sulla sparizione di Noemi, si erano concentrati su di lui e il ragazzo, alla fine, ha vuotato il sacco. E, per non farsi mancare nulla, anche il padre è indagato per concorso in omicidio volontario.
Le riflessioni che bisognerebbe fare sono molteplici
La prima, evidente, marchiana, che potrebbe valere per tutti i casi di femminicidio, è chiedersi come mai, alla vittima non sono bastate denunce su denunce, segnalazioni su segnalazioni. Alla fine, salta sempre fuori che sì, il tizio “era noto alle forze dell’ordine”, che la vicenda era stata più volte sviscerata nei vari commisariati, ma… nulla, l’aspirante assassino, quasi sempre, si muove in tutta libertà, come nulla fosse.
La seconda, ma solo per comodità di elenco, è che in Italia i femminicidi sono davvero numerosi. Ne basterebbe solo uno, certo, ma i dati del 2016 parlano di 120 donne uccise dal proprio compagno, cioè una ogni due giorni. E l’Italia ha firmato, assieme ad altri 31 Paesi, la “Convenzione di Istanbul”, un trattato che si propone di prevenire la violenza – soprattutto di genere – di favorire la protezione delle vittime e di punire i colpevoli. Purtroppo, ben poco è stato fatto in termini di passi avanti per arginare questo odioso fenomeno socio-culturale.
Già, un’altra riflessione deve riguardare cosa c’è dietro alla violenza di genere, se anche dei ragazzini si ritrovano a vivere una relazione “turbolenta”.
La verità è che dietro alla violenza degli adulti, ci sono tante violenze verbali, psicologiche, di modi di dire e di fare, che non avvertiamo nemmeno come violenti o sessisti. Ed è così radicata, ormai, che debellarla non è certo facile e non la elimineremo mai del tutto se non partiamo, appunto, dalle basi sociali e culturali.
Sei isterica, detto a una donna che è semplicemente arrabbiata; sei un maschiaccio, detto a una bambina che ama fare il kung fu anziché la danza classica; sei una femminuccia, detto a un bambino che piange; la donna che lavora troppo fuori casa è una cattiva madre, l’uomo che lavora troppo è un ottimo papà. Sono solo alcuni esempi di quanto sia radicata la cultura che tra uomo e donna ci debbano essere differenze sostanziali, in cui l’uomo deve dimostrarsi forte, rude, mentre alla donna spetta essere dolce, portare pazienza.
Cominciamo a scardinare queste convinzioni, partendo dai giovani, anzi, dai bambini, dalla famiglia, dalla scuola. Facciamo campagne per la promozione del rispetto e non ci saranno più Noemi da piangere.