Tra pochi mesi l'Italia si recherà alle urne per rinnovare la propria classe dirigente. Fra mille polemiche e mille incertezze, quella del voto in primavera pare essere l'unico obiettivo finale dei partiti e movimenti politici italiani. Tra risse in tv, liti sui giornali, fra una sinistra spaccata, una destra in risalita ed un populismo sempre più dilagante, la legislatura è ormai agli sgoccioli e nel poco tempo che resta sono in realtà ancora molte le dinamiche che si devono chiarire per capire quali saranno gli schieramenti che entreranno nelle liste della nuova legge elettorale. Il cosiddetto rosatellum.

Ma c'è rimasto ancora qualcosa che questo governo e questo parlamento possono fare? Dopo l'approvazione della legge sulle unioni civili, la legge sul "dopo di noi" e il dibattito acceso sul "fine vita" anche il tema dello ius soli è uno dei più importanti che in molti programmi e su molti giornali ritorna. Cerchiamo in queste poche righe di chiarire in modo semplice ed onesto in cosa consiste questa legge che pare essere oggetto di schermaglie politiche sia per le opposizioni sia per chi governa. Ebbene è giusto chiarire subito una cosa: lo ius soli in Italia esiste già. Questo perché esiste la legge numero 91 del 5 febbraio 1992 la quale concede la cittadinanza allo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, oppure se, sempre al raggiungimento della maggiore età risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiara, entro un anno dai diciotto anni, di voler acquistare la cittadinanza italiana.

E qui veniamo al centro della questione: la legge che vuole essere approvata e che attualmente ha ricevuto il via libera dalla camera, ma è ferma al senato da ormai due anni, intende migliorare la faccenda. In sostanza si concede la cittadinanza a chi ha frequentato un ciclo di studi completo, in Italia, di cinque anni. Lo si deve dunque definire non tanto ius soli, ma più propriamente ius culturae o ius scholae.

I motivi per cui questo progetto si è arenato nella seconda camera del parlamento sono naturalmente dovuti agli attacchi terroristici che dal 2015 hanno massacrato molte città d'Europa, creando un clima di panico e di terore. Ma ciò che deve far riflettere è che dare la possibilità di diventare cittadino italiano a chi è compagno di banco dei nostri figli, a chi frequenta le nostre scuole, apprende la nostra cultura, si immerge nella nostra vita sociale quotidiana, non può rappresentare una rappresaglia fra partiti politici che mirano soltanto a fare un bottino di voti alle elezioni, o un vantaggio ai terroristi.

Anzi, in questo modo si regola più velocemente e si danno maggiori certezze a molte famiglie. Sicuramente si tratta di una legge perfettibile, che può essere migliorata e che è suscettibile di critiche, ma l'idea di fondo non può essere accantonata. Perché chi si riconosce nella nostra cultura ed è figlio del nostro sistema scolastico per un periodo intenso di anni, è legittimato a sentirsi parte integrante di quella società e la cittadinanza è il suo sbocco naturale. Non dimentichiamoci che gli immigrati, se gestiti nel modo corretto sono una risorsa fondamentale per il nostro paese. La teoria, ma anche l'osservazione empirica, suggeriscono che la buona integrazione, l'inclusione, la piena partecipazione alla vita sociale sono fattori che rendono le migrazioni un gioco a somma positiva.