magia, maghi, streghe, incantesimi e pozioni: fin dal paleolitico superiore, a giudicare da scene di pitture trovate nelle caverne francesi, l’essere umano è “incantato” dal concetto di magia. Passando per l’antico Egitto e per l’antica Grecia, la pratica del magico si dipana in ogni società, con un unico, chiaro, semplice obiettivo: piegare la Natura, gli elementi, le persone. Avere il controllo di tutto ciò che ci circonda, esattamente lo stesso obiettivo che tutt’ora l’umanità persegue. Il mezzo per raggiungerlo però è mutato: la nostra fiducia infatti si è spostata dalla magia alla tecnologia, che studia l'applicazione e l'uso di tutto ciò che può essere funzionale alla soluzione di problemi pratici, all'ottimizzazione delle procedure, alla scelta di strategie operative per raggiungere un determinato obiettivo.
Paradossalmente, l’uomo non sembra essere mutato troppo da quando danzava con la tribù, imitando le movenze delle prede, per assicurarsi il successo nella caccia: quando osserviamo per esempio la tecnica di una ballerina, o di una pittrice, o di un lavoratore esperto nel suo settore, non ci perdiamo forse nelle sue movenze così complesse eppure eseguite con tanta fluidità? Non ci viene da pensare che questa persona sia a conoscenza di un pratica segreta, quasi esoterica, dalla quale siamo esclusi? Non ci sale alle labbra l’esclamazione “magico”?
Il tecnosapere è diverso dalla scienza “pura”: quest’ultima infatti ricerca la conoscenza fine a se stessa, lo svelamento dell’ignoto, la contemplazione di ciò che è, mentre la tecnica mira alla modificazione, al plasmare secondo la nostra volontà, al comandare alla Natura.
Eppure la relazione tra questi due percorsi si manifesta in un legame inscindibile: dalla conoscenza scaturisce la reale possibilità di modificare. ”Sapere è potere” diceva Francis Bacon. Da ogni disciplina scientifica deriva la propria tecnologia: dalla fisica i razzi per esempio, dalla biologia gli interventi chirurgici, dalla chimica i farmaci, dalla psicologia la seduzione (non necessariamente amorosa), dalla sociologia l’indirizzamento delle masse.
Ogni giorno diventiamo stregoni sempre più potenti, ogni giorno ci avviciniamo al potere di un dio: questo il caso del dottor Robert Ford, personaggio della serie televisa Westworld interpretato da Anthony Hopkins. Ford costruisce un immenso parco, il suo personale creato, dove residenti e animali (robot) dipendono completamente dal suo volere: gli basta un gesto delle dita per pietrificare un serpente (quella di poter comandare oggetti solo mediante movimenti delle dita è una tecnologia a cui l’uomo sta realmente lavorando), un pensiero per immobilizzare schiere di lavoratori e camerieri intenti a versare vino, come ci mostra una scena molto intensa della serie.
Per un attimo, si ha la sensazione (ed il brivido) di trovarsi di fronte ad un onnipotente dio terrestre.
La tecnologia però non è priva di un “lato oscuro”: come nel cartone animato “L’apprendista stregone” Topolino viene sovrastato dalla potenza di una magia che non sa controllare, così l’uomo può cadere vittima delle sue stesse azioni, della tecnica, non potendo, costitutivamente, controllare ogni cosa. platone, nel mito di Prometeo all’interno del suo dialogo “Protagora”, denuncia la natura ambivalente della sapienza tecnologica. Essa per un verso è un magnifico dono: siccome Epimeteo, fratello di Prometeo, nel distribuire le qualità agli animali, si scorda dell’uomo, lasciandolo senza veli e debole, Prometeo ha pietà del dimenticato; gli porta così il fuoco, lo strumento tecnico per antonomasia, capace di trasformare le cose, e la competenza tecnica, doni miracolosi, la cui natura era quella di essere presso gli dei, e quindi magici, potenti, proibiti.
Per l’appunto, proibiti. Questo meraviglioso dono proviene da un furto, da una spaccatura; la sua genesi è macchiata, maledetta, frutto di un tradimento (che costerà a Prometeo l’eterno tormento di subire, incatenato, lo svisceramente perpetuo da parte di un uccello gigante). La tecnologia dunque porta con sè un aspetto positivo e uno negativo, una duplicità intrinseca, un peccato che fa di noi stessi dei colpevoli, in quanto “ricettatori” di un bene trafugato. Esplosioni atomiche, sia ricercate, sia accidentali, disastri ambientali, frantumazione delle relazioni, etica calpestata, non serve riflettere troppo per svelare il lato sadico della tecnologia. Essa ci rende ciò che siamo, sia nel bene, sia nel male, da essa deriva la nostra cultura, la tecnologia è la cultura, ma ben lontani dobbiamo essere dal considerarla il senso della nostra vita, l’idolo portante della nostra esistenza: labile è il confine che separa un “creatore di mondi” e, come disse Oppenheimer (costruttore pentito della prima bomba atomica) citando il Bhagavad-Gita (il sacro poema epico degli Hindu), “il distruttore di mondi”.