Mentre prosegue lo spoglio delle schede elettorali nel "day-after" del voto del 4 marzo, iniziano a delinearsi i nuovi equilibri tra le forze politiche che accederanno in Parlamento. Si iniziano a prospettare, insomma, gli scenari che si presenteranno alla Camera e al Senato, e quale sarà il ruolo del Presidente della Repubblica in questo frangente.
Ma in questo quadro nebuloso, i tratti più precisi e distinguibili sono rappresentati dal senso che c'è dietro il voto, le ragioni di quello che oramai si può dire un successo di alcune forze dell'agone politico.
I numeri parziali
Prima di mettere in luce queste ragioni, è necessario soffermarsi sui numeri di questa tornata elettorale. Secondo i dati forniti dal ministero dell'Interno e riportati da "La Stampa", aggiornati alle ore 18:31 e relativi a 61.339 seggi su 61.401, ad ottenere la maggioranza relativa dei voti alla Camera dei Deputati è la coalizione di centro-destra con il 37% dei voti. Nello specifico, lega ottiene il 17,4%, Forza Italia il 14%, Fratelli d'Italia il 4,3% e Noi con l’Italia/Udc 1,3%.
A seguire, con un aumento sensibile dei consensi troviamo il Movimento 5 Stelle, che totalizza il 32,6%. Flessione, invece, per la coalizione di centro-sinistra, che raggiunge il 22,7%. In particolare, il Partito Democratico ottiene il 18,7%, +Europa il 2,5%, Italia Europa Insieme lo 0,6%, Civica popolare lo 0,5%, Svp/Patt lo 0,4%.
Analisi del risultato della Lega
La Lega ha surclassato Forza Italia, diventando dunque la forza trainante della coalizione: che ciò significhi una leadership di Matteo Salvini (segretario federale del "Carroccio"), è ancora troppo presto per dirlo, sebbene sia certamente uno di quegli scenari cui si accennava sopra. Tuttavia, il sorpasso della Lega nei confronti di Forza Italia nei consensi, diventando il primo partito del centro-destra italiano, implica che, "prima facie", questo schieramento, all'indomani delle elezioni, sia sinonimo di ciò che rappresenta il partito di Salvini, dei suoi valori, della sua storia e dei suoi proponimenti.
Di conseguenza, si teme che ad oggi il centro-destra possa essere innanzitutto sinonimo di xenofobia e di antieuropeismo. La vittoria della Lega in seno a questa coalizione rappresenta, dunque, la cartina di tornasole per un elettorato che si sente intimorito dai flussi migratori, e segretamente minacciato da questi ultimi.
Un elettorato che è desideroso di tornare a migliorare il suo status socio-economico medio, ma che, nel realizzare ciò, ritiene l'Europa più un ostacolo che un aiuto.
Analisi del risultato di M5S
È molto significativo, inoltre, che il Movimento 5 Stelle emerga dalla tornata elettorale come primo partito. Da solo, insomma, M5S rappresenta la formazione politica che ha riscosso i maggiori consensi tra gli elettori. E lo ha fatto puntando sui suoi valori, sulla sua storia e sui suoi proponimenti. Questo successo è, "prima facie", legato dall'essere un movimento anti-sistema, che mira a cambiare il sistema politico, se non addirittura a sovvertirlo, laddove per "sovversione" si intenda la creazione di una nuova classe dirigente.
Del resto, e probabilmente è qui che risiede il motivo principale del trionfo dei "cinquestelle", vi è una certa sfiducia da parte dei cittadini verso la vecchia classe dirigente, ritenuta non più adatta a fronteggiare le sfide sociali, politiche ed economiche che l'Italia deve affrontare.
Vi è, dunque, una scarsa fiducia verso quei partiti che non sono stati in grado di vincere queste sfide. Di qui, appunto, la necessità, per gli elettori dei "grillini", di avere una nuova classe politica e nuovi punti di riferimento che siano in grado di rispondere agli imperativi sociali, politici ed economici attuali.
Analisi della sconfitta del PD
Infine il Partito Democratico che, come si è detto, esce da queste elezioni 2018 con un netto calo di consensi.
Un ridimensionamento significativo - al netto del decremento fisiologico di voti dovuto alla nascita di Liberi e Uguali -, sinonimo di una condanna da parte degli elettori verso l'attuale assetto del PD, il quale è un partito dalla preponderante linea "renziana", a scapito delle minoranze "cuperliane" o "orlandiane". Il decremento si può leggere come una sfiducia dell'elettorato del PD a Matteo Renzi, che segue quella del 4 dicembre 2016. Un netto crollo di consensi con il quale il partito dovrà certamente fare i conti, se si intende recuperare il terreno perduto.