Innescatesi con la riforma pensionistica voluta dal presidente Daniel Ortega (poi ritirata), le proteste in Nicaragua sono cresciute esponenzialmente da aprile ad oggi. Negli ultimi tre mesi, le principali città nicaraguensi – con Masaya in prima fila “presa” pochi giorni fa dalla polizia dopo un lungo assedio - sono state teatro di violenti scontri tra la popolazione e le forze dell’ordine. La repressione è stata brutale e l’escalation di violenze ha portato il numero delle vittime a circa 300 e quello dei feriti a più di 1000. La polizia non è però la sola responsabile: la presenza di franchi tiratori e, soprattutto, la brutalità con cui tali violenze sono state perpetrate, hanno via via convinto – idea avvalorata dalle testimonianze della stessa popolazione e dai video pubblicati sui social che mostrano veri e propri commandos incappucciati – che tra manifestanti e forze dell’ordine si nascondano gruppi armati para-militari, le cosiddette “turbas”.

L’unica ipotesi accreditata - quella cioè unanimemente proposta dalla stampa e dalla maggior parte degli osservatori internazionali, USA in primis - è che si tratti di guerriglieri sandinisti sovvenzionati dallo stesso Ortega.

Anche per questo motivo, le Nazioni Unite hanno chiesto l’autorizzazione all’ingresso nel paese di una missione di osservatori internazionali per verificare il rispetto dei diritti umani. Permesso concesso dal presidente Ortega lo scorso 18 giugno.

Il Rapporto della CIDH evidenzia “gravi violazioni dei diritti umani commesse dallo Stato e dai gruppi affiliati che operano con l'acquiescenza delle autorità governative”. Filo-sandinisti di estrema sinistra che, esterni alle forze di polizia, hanno partecipato al massacro degli ultimi mesi.

Ponendo i riflettori sugli scontri tra polizia e studenti disarmati, nelle 87 pagine di rapporto non si legge tuttavia una riga sulla possibile infiltrazione tra i manifestanti (e tra i gruppi sandinisti) di bande armate affiliate invece all’estrema destra, di terroristi finanziati dall’opposta fazione, dei crimini e delle uccisioni perpetrate contro sandinisti e funzionari governativi.

Eppure, o forse proprio per questo, l’ipotesi di “moderni” contras finanziati da chi intenzionato a destabilizzare un governo ideologicamente in opposizione alla Politica imperialista americana non pare così improbabile. Il Senato USA ha non a caso approvato nell’ordine di bilancio 2019 lo stanziamento di 15 milioni di dollari a Cuba, 25 in Venezuela e 5 in Nicaragua per la “promozione della democrazia”.

Fatto che sottolinea come, per gli Stati Uniti, il “giardinetto dietro casa” continui a rimanere tale.

I contras

Facciamo un passo indietro di circa una quarantina d’anni: i contras erano quei gruppi armati controrivoluzionari formati dai vecchi membri della guardia nazionale dell’allora presidente del Nicaragua Anastasio Somoza Debayle per combattere il governo di Ortega insediatosi nel 1979 a seguito della rivoluzione sandinista. Finanziati dalla CIA e dal governo di Ronald Reagan, i contras “controrivoluzionari” hanno tentato di destabilizzare il governo contrario agli USA attraverso attacchi mirati a obiettivi "morbidi" come scuole, ospedali e chiese. Torture e omicidi indiscriminati contro la popolazione civile.

Un quadro che a ben guardare potrebbe in parte ricordare quello di oggi, dove a capo della politica estera americana si trova un ex direttore della CIA e, al posto di Ronald Reagan, Donald Trump, il cui slogan in campagna elettorale era quello di “Make America Great Again”. Again com’era negli anni Ottanta?

D’altra parte, se non è un mistero la lotta da sempre perseguita dagli Stati Uniti contro i “regimi socialisti” dell’America latina, non lo è nemmeno il conto rimasto aperto con il Nicaragua, con il sandinismo e con Ortega che, benché “tollerato” per le sue politiche finanziarie, resistendo agli attacchi dei contras, ha di fatto sbandierato la propria indipendenza da Washington.

Una cosa non esclude l’altra

Non c’è dubbio che Ortega - affermatosi durante la rivoluzione sandinista nel 1970 e salutato come eroe di sinistra, eletto presidente con regolari elezioni nel 2006, nel 2011, e di nuovo nel 2016 con oltre il 70% dei voti - abbia perso nel corso di quest’ultimo mandato gran parte dell’appoggio popolare. A causa anche del coinvolgimento di numerosi familiari nella gestione economica del paese (la moglie Rosario Murillo in primis fatta vice presidente del Paese) e dell’apertura verso grossi gruppi di potere, il malcontento della popolazione è via via cresciuto. Unitamente alla grave condizione sociale in cui la stragrande maggioranza della popolazione si trova a vivere, ciò ha senza dubbio posto le basi per quella che a tutti gli effetti sembra una violenta (anche se circoscritta) rivoluzione.

Che gli Stati Uniti abbiano allora preso la palla al balzo e, contribuendo ad insanguinare la rivolta con gruppi armati e fomentando rabbia e violenze attraverso la diffusione di notizie viziate stiano tentato di riuscire in ciò che 30 anni fa avevano fallito?

C’è dell’altro: gli stretti legami del Nicaragua con il governo socialista venezuelano hanno portato a lucrosi accordi petroliferi che prevedevano la possibilità per il Nicaragua di acquistare petrolio venezuelano a prezzi abbattuti. I venezuelani avrebbero poi restituito i soldi alle banche nicaraguensi di proprietà dei membri del partito sandinista, consentendo a Ortega in questo modo di finanziare programmi di assistenza sociale. Quando, nel 2017, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il Nicaraguan Investment Conditionality (NICA Act) applicando sanzioni economiche contro il regime di Ortega, il Venezuela ha espresso "assoluta solidarietà e lealtà con il nobile popolo nicaraguense”, definendo la scelta americana come un “nuovo assalto dell'imperialismo USA contro il libero e sovrano popolo del Nicaragua”.

Nonostante gli Stati Uniti rimangano oggi il principale partner economico del Nicaragua acquistando il 51% delle sue esportazioni e contribuendo con il 32% alle importazioni, Ortega ha sin dalla sua rielezione nel 2006 incrementato la cooperazione con la Russia nel commercio, nell'agricoltura, nei programmi infrastrutturali, spaziali e militari: insieme a corazzate e ad altre attrezzature pesanti, la Russia ha regalato al paese 50 carri armati T-72, istituito nel paese un centro di addestramento militare - il “Mariscal Georgy Konstantinovich Zhúkov” - e, nel 2017, iniziato una cooperazione per la costruzione di una stazione satellitare a Managua.

Oltre ai socialisti venezuelani e alla Russia, nella sfera d’amicizie nicaraguensi orbitano (o meglio orbitavano) anche i cinesi.

Il che rimanda ad un’altra questione, quella cioè del Canale del Nicaragua.

Tra i “moventi” capaci di spingere gli States ad intervenire in prima linea nelle rivolte se ne potrebbe citare infatti anche un altro, stranamente dimenticato e di cui ormai si parla pochissimo perché lasciato in “stand by”. Il canale interoceanico alternativo a quello di Panama è un grosso rischio per gli USA, soprattutto se considerato che la realizzazione del progetto - la conferma in tal senso è arrivata nel 2017 da parte dello stesso Ortega – sarebbe stata in mani (private) cinesi. Il consorzio internazionale (Hknd) con sede a Hong Kong guidato dal magnate Wang Jing inaugurò i lavori nel 2014 tra la protesta di scienziati e popolazione locale, giustamente preoccupati i primi per l’enorme e devastante impatto ambientale e per la conseguente espropriazione delle terre i secondi.

Altro fatto che ha contribuito ad accrescere il malcontento della popolazione verso il governo accentratore di Daniel Ortega. Di dimensioni gigantesche, il canale avrebbe unito il mar del Caribe con l’Oceano Pacifico attraverso il lago Cocibolca: 278 km scavati per permettere il transito a navi fino a 400 mila tonnellate. Un’opera faraonica e, allo stesso tempo, una durissima concorrenza al canale di Panama che, oltre ad essere stato sotto il diretto controllo degli Stati Uniti fino al 1979, ha alle spalle una storia in tal senso interessante. La ricordiamo brevemente: nel 1903 a seguito della decisione presa dal governo della Colombia (all’epoca Panama apparteneva alla Grande Colombia) di non ratificare l'accordo con gli USA per la realizzazione e la gestione del canale, gli Stati Uniti organizzarono una violenta sommossa all’interno del paese e, con la minaccia di un intervento da parte dell’esercito, resero Panama, come già era Cuba, una “Repubblica indipendente” sotto la loro tutela, ottenendo così l'affitto della Zona del Canale e l'autorizzazione a iniziare i lavori.

Oggi, con circa il 60% del transito totale attraverso il Canale di Panama (dati United States Energy Information Administration) gli USA sono, oltre al primo Paese di origine e destinazione di tutto il trasporto energetico che lo attraversa, anche il suo principale utilizzatore. Ciò nonostante, a causa delle ridotte dimensioni e, quindi, dell’impossibilità per le grandi navi di transitarvi attraverso, il canale pone notevoli limiti non solo al trasporto di merci, ma anche a quello di petrolio: un canale più ampio consentirebbe il passaggio di navi container e petroliere più grandi. A ciò si deve il progetto di espansione finanziato, oltre che da Washington, anche dalla Cina che, dal 1999, ne è ormai il secondo fruitore.

In riferimento all’opera “concorrenziale” nicaraguense, va inoltre specificato che al progetto - lo riportava il Moscow Times con le parole del viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov - avrebbe preso parte, manco a dirlo, anche la Russia. Ma perché allora tutto è rimasto fermo? Da una parte la Cina, nel 2017, ha rafforzato le proprie relazioni diplomatiche con Panama, specificando per voce dell’ambasciatore Wei Qiang che "il progetto del canale interoceanico del Nicaragua era un investimento totalmente privato” e, dall’altra, il magnate Wang Jing ha perso gran parte delle sue risorse economiche a causa dell’abbassamento dei prezzi delle azioni cinesi, passando da una fortuna stimata a 10,2 miliardi di dollari a 1.3 miliardi e trovandosi così costretto a mettere in pausa il progetto.

La storia che si ripete?

Unitamente al conto rimasto aperto con Ortega e i sandinisti e, in generale, all’atteggiamento imperialista americano da sempre assunto nel “cortile dietro casa”, l’ottimo livello di crescita socio-economica a fronte, per giunta, di un elevato livello di sicurezza (soprattutto se comparato a quella dei vicini Salvador, Honduras e Guatemala), la cooperazione economica con i venezuelani e quella militare con i russi, i diritti di un canale interoceanico concorrente a di quello di Panama sono, in sintesi, alcune delle ragioni utili a giustificare l’intervento americano.