“Volevo solo fare giustizia contro i pusher” ha detto Luca Traini durante il processo in Corte D’Assisi che lo vede coinvolto per un la sparatoria contro alcuni stranieri avvenuta a febbraio scorso nella città di Macerata. Era il 3 febbraio quando Traini, armato di pistola, aveva sparato numerosi colpi contro dei migranti in pieno giorno, un momento drammatico per la città marchigiana che in pochi mesi è diventata il simbolo della lotta contro il razzismo e, allo stesso tempo, simbolo della lotta contro i migranti per il caso di Pamela Mastropietro.

Dalla sparatoria all'attentato per odio razziale

I fatti che seguirono quel 3 febbraio li conosciamo: l’arresto di Traini, le parole delle vittime e il loro sgomento nel sentirsi vulnerabili in un paese dove sembrano essersi risvegliati sentimenti di odio razziale. Un fatto che aveva coinvolto anche istituzioni e esponenti politici, di associazioni, il sindaco stesso di Macerata e l’attuale Ministro dell’Interno Matteo Salvini, leader della Lega, il partito a cui Traini era iscritto.

Il movente era scritto nero su bianco sui giornali: Traini ha sparato per odio razziale. Traini ha sparato a caso sperando di colpire vittime di colore perché contrario alla presenza di immigrati in città. Oggi quei fatti però sembrano essere smentiti: l’uomo, accusato di odio razziale, ha stretto amicizia con persone di tutte le nazionalità e oggi, dopo un lungo percorso psicologico avvenuto durante i mesi in carcere, ha capito di aver commesso un errore.

Ma la sua posizione rimane ferma in quanto afferma di non aver sparato per colpire persone di colore ma per colpire i pusher della droga. Lo spaccio infatti, molto diffuso nella città, lo colpiva direttamente dato che, come ha detto in aula, la sua ex ragazza faceva uso di sostanza stupefacenti.

Macerata e i casi di spaccio e violenza

Non possiamo non pensare a Traini come una vittima, in questo caso, di un errore di leggerezza che ha storpiato le accuse contro di lui bollandolo come un “razzista” quando, per quanto il fine non giustifica i mezzi, la sua era una protesta contro una criminalità organizzata che sfrutta e schiavizza i migranti che arrivano nel nostro paese, disperati e senza nulla da perdere, per guadagnare.

In fondo lo abbiamo letto nei giorni scorsi: una delle vittime rimaste ferite durante “lattentato di Macerata” è stata arrestata per spaccio. Poi, il caso di Pamela Mastropietro, finita nelle mani di pusher senza scrupoli e morta di overdose proprio tra le stesse mura, le stesse case, che hanno assistito agli spari di Traini.

Forse quello che bisognerebbe ricordare è che abbiamo tutti il diritto di manifestare e difendere i nostri diritti, di dire no allo spaccio di droga e alla criminalità nelle nostre città, ma la prepotenza e l’aggressività non sono il mezzo. Perché si sa che la violenza chiama sempre altra violenza.