Il Decreto Sicurezza approvato dal governo include il taglio dei finanziamenti e la conseguente chiusura di molti dei centri di accoglienza per migranti attualmente operanti.

L’ingresso in tali centri fa parte di un percorso strutturato che ha come fine la valutazione, da parte delle varie Commissioni Territoriali preposte, delle richieste di Permesso di soggiorno ricevute: una volta sbarcati tutti i migranti vengono incanalati in questo percorso di accoglienza nel quale possono sperimentare, spesso per la prima volta e con gradito stupore, i principali fondamenti della democrazia moderna, quella stessa democrazia che rappresenta per noi europei il tratto distintivo tra arretratezza e futuro, tra dittatura e libertà, tra umiliazione e vanto.

Tra progetti più o meno virtuosi e tra gli alti e i bassi della gestione improvvisata di un fenomeno umanitario di tale portata, in questi centri si offre un know-how generale sul funzionamento e sulle regole del sistema di vita europeo e si offrono le basi linguistiche necessarie alla comunicazione, presupposti necessari ed insostituibili per una integrazione funzionale e positiva. Di conseguenza pensare che con la chiusura di molti dei centri di accoglienza prevista dal decreto fortemente voluto dall'onorevole Salvini ci sarà più sicurezza è una contraddizione: il rischio è che da un fenomeno gestito passeremo semplicemente ad un fenomeno non gestito.

Decreto sicurezza: Possibili scenari e cause

Questo significa che se fino ad ora il tentativo dei richiedenti asilo di inserirsi nel nostro sistema di vita percorreva i binari tracciati dalla legge permettendone un monitoraggio fondamentale e pressoché costante da parte delle istituzioni, da adesso in poi il fenomeno rischia di spostarsi sulle strade, sui binari della mera sopravvivenza fatta di espedienti e sotterfugi e totalmente fuori controllo.

Tutto ciò renderebbe più pericolose le nostre strade.

Attenzione: questo non perché sulle strade ci saranno più “immigrati” ma perché sulle strade ci saranno più “poveri”.

Altro che sicurezza.

E poi: la sicurezza di chi?

Parliamo sempre di quella delle nostre strade, delle nostre vite. La sicurezza di tutti i migranti che rimarranno esclusi dai percorsi di accoglienza è di interesse secondario?

Trasformare in facili prede di circuiti malavitosi migliaia di ragazzi e ragazze è una conseguenza secondaria?

Questi non possono essere i valori distintivi e caratterizzanti un’ Europa fondata sul concetto di comunione ed inclusione tra popoli. C’è un’evidente contraddizione.

Il successo del “bisogno di sicurezza” come argomento elettorale indica necessariamente una sensazione condivisa di insicurezza.

Ma davvero nasce come risposta al fenomeno migratorio?

Dobbiamo rimanere lucidi, soprattutto in momenti difficili come questo.

Forse dovremmo avere uno sguardo più ampio ed un approccio profondamente storico per comprendere più in profondità la situazione attuale e per accorgersi che questa diffusa sensazione di insicurezza affonda le radici in qualcosa di ben più profondo che ha scosso le vite di tutti gli italiani negli ultimi 15-20 anni e che si caratterizza in una sommatoria di fattori inevitabilmente annichilenti: la lunga crisi economica, la costante instabilità dovuta all’estenuante alternanza di governi, il ping pong delle responsabilità divenuto prassi, la destabilizzazione che consegue alla normalizzazione culturale del “vale il tutto ed il contrario di tutto”, la disoccupazione, lo spread, la recessione, il debito che cresce ed il pil che diminuisce, i fiumi che ingrossano ed i ponti che affondano, il terrorismo internazionale di andata e di ritorno, i tanti fatti ed i pochi colpevoli, i tanti colpevoli e le poche e lentissime condanne, le tante condanne ed i pochi casi in cui vengono scontate, la legge che non è uguale per tutti e la naturale sfiducia che ne consegue.

Questi sono pensieri che rimandano a cause nebulose e quasi intangibili che ciò nonostante prendono concretamente alla pancia trasformandosi in ansia, sfiducia e rabbia.

Perché la rabbia non la sfoghi tirando pugni alla nebbia.

Per questo diventa facile parlare alle pance. Diventa facile creare un nemico e convogliare la rabbia contro quel nemico. Serve un volto, un colore, un odore.

Diventa semplice farne campagna elettorale.

Diventa facile spaccare il mondo in due: “noi e loro”.

Immigrazione: Europa e mondo globale

Ma forse è proprio questo il punto che non hanno considerato i signori della Politica: stanno lentamente creando i presupposti di un disordine senza precedenti perché se gli italiani reagiranno di pancia quando le strade saranno teatro di quell’indigenza e di quell’esplosione di delinquenza che queste scelte politiche rischiano di determinare, allora l’Italia, l’Europa, la democrazia ed il mondo globale avranno perso.

Il triste inganno è che quelle scelte non avranno ottenuto niente perché la storia andrà comunque avanti verso una globalizzazione totale.

Quel mondo che adesso è globale solo per merci e finanza lo diventerà anche per gli esseri umani perché questa è l’evidente proiezione futura del presente che stiamo vivendo: la storia ha un suo linguaggio inequivocabile e la rivoluzione epocale apportata da internet negli ultimi decenni ha già sancito che il futuro del mondo è globale.

Questo fenomeno migratorio incarna nella rete presupposti e conseguenze di sé stesso: l’accessibilità del web alle informazioni ha trasformato l’immaginario collettivo mondiale diffondendo e globalizzando “ricchezza” e “democrazia” elevandole per la prima volta al regno delle possibilità accessibili.

Oggi c’è chi, migrando, sta solo cercando di accedervi, di dare una chance alla propria vita.

La globalizzazione, nella sua espressione più rudimentale, è anche questa: la storia si modella come acqua alle possibilità che il presente le offre per proseguire il suo cammino.

Le attuali scelte politiche stanno perseguendo un’utopia: invece di comprenderne e convogliarne la potenza dentro argini creativi e produttivi, stanno cercando di fermare un fiume senza rendersi conto che quel fiume è già mare.

In realtà i nostri rappresentanti politici possono solo decidere in quanti dovranno ancora affogare prima di arrendersi alla storia.

Hanno una grande responsabilità.

Ce l’hanno anche nei confronti dei cittadini italiani verso i quali sarebbe rispettoso cambiare il copione comunicativo utilizzato fin’ora iniziando proprio dall’inganno che si cela nelle parole: perché parlare di invasione quando si può parlare di gestione; perché parlare di sicurezza quando in realtà parliamo di emarginazione e conseguente insicurezza.

Che senso ha dire agli italiani “prima gli italiani” quando proprio loro dovranno convivere col disordine e con l’indigenza, quando proprio loro si impoveriranno (o quantomeno questo è il rischio non calcolato) a causa delle scelte politiche.

Che onestà si cela dietro questa volontà di dividerci in “noi e loro” quando l’inganno ed il degrado li subiremo insieme, noi e loro. Per questo le uniche soluzioni che possono rivelarsi favorevoli agli italiani sono quelle che includono “noi e loro” in un’ unica visione sistemica.

Questo non significa che l'Italia, isolatamente dal resto d'Europa, debba gestire il fenomeno. Non è certo questa la soluzione auspicabile. Così come non lo è demonizzare gli attuali fenomeni migratori.

Il punto è rileggere questa Europa prettamente finanziaria e trasformarne i contenuti per renderla storicamente credibile e capace di sostenere le sfide imposte da un presente che muta ad un ritmo senza precedenti, incalzando quotidianamente la nostra individuale capacità di adattamento come un’onda potente e inarrestabile che tutti noi siamo obbligati a cavalcare per coglierne le intrinseche possibilità.

Questa giovane Europa deve fare la stessa cosa: ampliare la visione di se stessa e rendersi contemporanea cavalcando creativamente la mutevolezza di questa epoca e quella dei prossimi decenni per rimanere al passo della storia se non addirittura per scriverla da protagonista.

Dobbiamo essere responsabili per scegliere la via migliore e per farlo dobbiamo necessariamente partire dalla verità, non dagli inganni e dalle tesi facili. Perché non è e non sarà facile.

Per questo serve il meglio di ognuno di noi.