Non le avrebbe creduto nessuno. Il giorno prima di essere uccisa ferocemente Angelica Salis, un giorno fa a Quartucciu, in provincia di Cagliari, da parte del marito, si era recata in un bar per trovare rifugio alla sua furia. Scalza e stanca. Stanca delle percosse che avrebbe subito quella sera. Malgrado ciò non è stata creduta da nessuno. Ha raccontato, infatti, di essere stata picchiata dal marito Paolo Randaccio, 67 anni, farfugliando in modo confuso e agitato, ma i segni che avrebbe avuto sul viso parlavano da soli.

Il femminicidio di Angelica Salis

La barista che lavorava al locale, in un'intervista sul quotidiano Casteddu Online, ha dichiarato che “non sapeva a chi credere dei due”. Poco dopo, quella sera, sarebbe arrivato il marito e avrebbero continuato a litigare, che poi l'ha riportata a casa. La sera dopo la tragedia. Uccisa con alcune coltellate e trovata in un lago di sangue.

Angelica non viene creduta nemmeno da morta. A Quartucciu gli abitanti, persino il sindaco Pietru Pisu invocano al silenzio. Il primo cittadino dedica una preghiera anche al killer, che ora si trova in carcere dopo aver confessato il delitto. Nessuno invoca al femminicidio, anzi c'è la sorella della vittima che nega. In un'altra intervista allo stesso quotidiano prende le difese del marito.

“Non è femminicidio”, dichiara.

Anche la figlia di Angelica si schiera con il padre. “Mi dispiace più per lui”, afferma in un'intervista da parte del quotidiano Sardinia Post. Secondo quanto riporta il quotidiano Unione Sarda, pare che la donna fosse da tempo vittima di violenze domestiche da parte di Randaccio. Salis, infatti, soffriva di depressione a causa del clima famigliare teso.

E di questa tensione ne avevano parlato anche i vicini sentiti dagli inquirenti, ma minimizzando i fatti come normali liti tra coniugi. Liti che nell'ultimo periodo sarebbero peggiorate a causa della salute di Angelica.

Il marito in paese godeva di un'ottima reputazione. E il giorno dopo l'uxoricidio, avvenuto con ben 6 coltellate, a Quartucciu hanno rimarcato la stessa tesi: “Lui è uscito fuori di testa, può succedere”.

Ma qualcosa che non andava in famiglia, pare sia stato trapelato anche dalle profonde angosce che la moglie Angelica viveva. La vittima aveva scritto sul suo diario su Facebook: “A volte la vita ti mette in ginocchio, ti fa piangere e tu pensi di non avere la forza di andare avanti. Ricorda che c'è qualcuno che vive dei tuoi abbracci e dei tuoi sorrisi. Alzati e lotta perché la vita non è sempre facile, ma è la cosa più preziosa che possiedi”.

In Italia in quattro giorni due donne sono state uccise e una in fin di vita. L'ultima sempre in Sardegna, in provincia di Sassari, sparata dal suo ex compagno proprio il giorno in cui Angelica chiedeva aiuto. Ciò significa che nell'Isola, in sole 48 ore si sono verificati un femminicidio e uno tentato.

Questi fatti purtroppo dimostrano che le leggi da sole non bastano per fermare i femminicidi. Urge un cambiamento culturale, poiché il caso di Angelica - come altre donne le cui denunce sono cadute spesso nel vuoto - narra la storia dell'ennesima donna che non viene creduta ma, anzi, viene colpevolizzata dalla stessa comunità.

È un fenomeno che viene definito come “vittimizzazione secondaria” e in ambito sociologico è quell'atteggiamento che porta la vittima di un reato di violenza maschile a subire altre aggressioni. Ciò può avvenire da parte delle istituzioni, con un ritardo della messa in atto di tutti i protocolli a tutela della donna maltrattata, ma questo può essere messo in atto anche dalla comunità di appartenenza, attraverso l'omertà, attraverso la giustificazione delle condotte violente e non credendo alle richieste di aiuto anche in presenza di campanelli d'allarme, come è successo ad Angelica.