La Siria sta vivendo il periodo più drammatico della sua storia, iniziato a metà del 2011 nel più ampio scenario della cosiddetta Primavera Araba e che ha portato a oltre 110.000 morti ad oggi, secondo fonti Onu.
In attesa della decisione del Congresso americano sulla possibilità di un inevitabile (stando alle dichiarazioni del presidente Barack Obama) raid per fermare Assad, cerchiamo di analizzare la breve storia politica del Paese siriano e le conseguenze che hanno condotto a una guerra civile così violenta e sanguinosa.
Dopo aver ottenuto l'indipendenza nel 1945 come colonia francese, la Siria visse sin da subito anni convulsi e difficili: ci furono numerosi tentativi di ascesa al potere con colpi di stato e cambi di governo fin a quando nel 1963 non subentrò il partito socialista laico Ba'th (traduzione: Risurrezione), ispirato non ai principi marxiani della lotta di classe ma a idee di libera iniziativa economica secondo i dettami del nazionalismo arabo.
Uno dei primi provvedimenti adottati fu l'introduzione della legge marziale, secondo la quale in caso di guerre o tumulti la vita dei cittadini viene amministrata dall'esercito.
Il primo presidente del neo partito fu Hafiz-Al-Assad, il cui Governo fu caratterizzato da un lungo periodo di stabilità e riforme.
Senza dar peso agli ideali del suo partito, Hafiz stabilì in modo autoritario che la sua successione sarebbe stata da ricercare tra i membri della sua stessa famiglia, seconda quindi una forma ereditaria.
Nel 1973 fu promulgata la Costituzione, che sancì come ordinamento statale la Repubblica il cui presidente è anche il segretario del partito Ba'th, prevedendo così ampi poteri a sua disposizione.
L'Assemblea del Popolo, eletta a suffragio universale, detiene il potere legislativo.
Nel 2000, alla morte del presidente, subentrò il figlio secondogenito Bashar: appartenente al minoritario gruppo etnico religioso degli Alawiti, e quindi prontamente mal visto dalla maggioranza della popolazione, sunnita, definì la propria azione di Governo secondo uno schieramento spiccatamente a favore dell'Iran e dei movimenti palestinese Hamas e libanese Hezbollah; una posizione quindi in aperto contrasto con gli Stati alleati di Stati Uniti e Israele.
Il 15 marzo di due anni fa, in pieno tumulto della Primavera Araba, anche il popolo siriano scese numeroso in piazza per manifestare il proprio dissenso nei confronti di un sistema politico più vicino a una dittatura che a una repubblica (in tal senso basti considerare che nelle elezioni del 2000, per favorire l'ascesa di Bashar, il Parlamento modificò la Costituzione circa l'età minima di 35 anni necessaria per salire al potere).
Le proteste, finalizzate invece secondo il Governo a costituire uno Stato islamico radicale eversivo, assumono subito connotati improntati sulla violenza e feroci scontri tra manifestanti e polizia, che sfociano presto in decine di città, molte delle quali a Sud del Paese.
Le rivolte sono state sin da subito sostenute e alimentate da gruppi armati appartenenti soprattutto al movimento della Jihad e nazioni del nord Africa e Medio Oriente con armi e uomini pronti a combattere.
La situazione ha scosso le autorità internazionali che, seppur in ritardo e in una situazione ormai degenerata, sono pronte all'intervento: secondo parte della comunità internazionale, come Medici senza Frontiere, Governo inglese e statunitense, durante un attacco compiuto il 21 agosto scorso contro gli insorti, sarebbero state utilizzate armi chimiche dalla polizia con lo scopo di arrestare i tumulti.