Il Senato ha approvato la delega al Governo per la riforma del mercato del lavoro, meglio conosciuto come Jobs Act.
La delega, sulla quale il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva posto la fiducia, è passata con 166 voti favorevoli, 112 contrari e un astenuto.
Il Governo è a questo punto legittimamente delegato a prendere tutti quei provvedimenti necessari per riformare i contratti di lavoro secondo le linee guida indicate dal premier Matteo Renzi che ha commentato l'approvazione con un tweet "Il Jobs Act diventa legge. L'Italia cambia davvero".
COME CAMBIERA' IL LAVORO
Le principali novità contenute nel Jobs Act sono:
- introduzione del contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti per i neoassunti;
- revisione delle regole per i licenziamenti per motivi economici (articolo 18), con la previsione di un indennizzo proporzionato in base all'anzianità di servizio in luogo del reintegro;
- reintegro che rimane nel caso di licenziamenti nei quali sono riconosciuti motivi discriminatori e motivi disciplinari ingiustificati;
- progressiva abolizione delle collaborazioni a progetto;
- assicurazione sociale per l'impiego estesa anche ai Co.Co.Co. (contratti di collaborazione coordinata e continuativa);
- demansionamento degli addetti, a parità di retribuzione.
Novità per le quali il ministro Poletti aveva in mattinata ringraziato il Parlamento per il contributo al "miglioramento della legge" che dovrebbe, secondo le parole dello stesso ministro, ridurre le forme contrattuali ed estendere il sistema degli ammortizzatori sociali.
Il Governo inizierà da subito a lavorare al primo decreto legislativo che sarà la normativa sul contratto a tutele crescenti da applicare ai neo assunti, con l'obiettivo di rendere applicabili già dal 1° gennaio le decontribuzioni previste per le imprese dalla legge di stabilità.
BATTAGLIA IN AULA E SCONTRI FUORI
L'approvazione della delega non è stata priva di ostacoli, non solo per l'opposizione del Movimento 5 Stelle, ma anche per la contrarietà su alcuni punti del provvedimento, quelli legati all'abolizione dell'articolo 18, di una consistente minoranza del partito Democratico.
Alla fine della discussione, dei 30 senatori dissidenti, 27 hanno annunciato di votare la fiducia per "senso di responsabilità", ma senza rinunciare alle future battaglie sui singoli decreti attuativi. Il solo Corradino Mineo ha votato contro la fiducia, mentre Letizia Ricchiuti e Felice Casson non hanno partecipato al voto.
Mentre in aula si procedeva alla votazione, fuori da Palazzo Madama le forze dell'ordine hanno dovuto fronteggiare una manifestazione convocata da Universitari, precari e sindacati di base. Ne sono scaturiti scontri il cui bilancio è di una quindicina di manifestanti tra feriti e contusi.