"Interverremo se richiesto", "non ci faremo trascinare da avventure militari pericolose", "pronti 900 militari", "nessun militare italiano parteciperà ad azioni di guerra in Libia". Notizie contrastanti rimbalzate sui media, relative alla possibile partecipazione dell'Italia ad operazioni di vera e propria guerra per contrastare le milizie dell'Isis in Libia e favorire la stabilizzazione del nuovo governo di Tripoli riconosciuto dall'Onu. Alla fine ha prevalso la linea del "non intervento", ufficializzata dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni nel corso della conferenza internazionale che si è tenuta ieri a Vienna, alla quale hanno preso parte i rappresentanti del governo statunitense e dei Paesi alleati.

Armi e risorse economiche per il governo al-Sarraj

Il governo Renzi pertanto si limiterà ad inviare soltanto forze di addestramento all'esercito regolare libico ed a concentrarsi a protezione dell'ambasciata italiana. Non ci saranno truppe italiane a presidiare i pozzi petroliferi, così come sarebbe stato richiesto dal nuovo premier libico Fayez al-Sarraj. In realtà la conferenza di Vienna ha stabilito che, nell'immediato futuro, non è previsto alcun intervento militare straniero nel Paese nordafricano. L'occidente sceglie invece di "finanziare, armare ed addestrare la Libia" nella sua guerra contro le forze jihadiste. Per far ciò viene parzialmente revocato l'embargo sulla vendita di armi a Tripoli il cui esecutivo potrà dunque procurarsi il materiale necessario per combattere l'Isisnel Paese.

"Garantiremo questi sforzi - si legge nel documento stilato alla fine del vertice - perché difendere il Paese dal terrorismo deve essere compito delle forze nazionali unificate". Da qui l'ulteriore impegno per unire tutte le forze presenti sul suolo libico, comprese quelle al comando del generale Khalifa Haftar che, nei mesi scorsi, era stato uno degli ostacoli al pieno riconoscimento dell'attuale esecutivo.