Mentre Stati Uniti e Russia cercano senza troppo successo accordi su tregue e cessate il fuoco in Siria – richiamando vecchi scenari da Guerra Fredda – un altro attore fondamentale per gli equilibri della regione mediorientale sta facendo più o meno a fari spenti le proprie mosse: la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, rafforzato dall’aver sventato golpe (vero o presunto) della scorsa estate.

Fuori l’esercito dall’Iraq

Il primo ministro dell’iraq Haydar al-‘Abadi ha denunciato lo sconfinamento dell’esercito turco, ufficialmente per contrastare il Daesh a Mosul, scatenando un botta e risposta con l’omologo Erdoğan: “stai al tuo posto”, ha intimato il “Sultano”, “non prendiamo ordini da voi, non siamo caduti così in basso”.

“Gli iracheni resisteranno all’occupazione del loro Paese”, ha replicato al-‘Abadi, aggiungendo che l’aggressione avrà “conseguenze ignote” e minacciando di rendere pubblici dei documenti che testimonierebbero l’effettiva ingerenza militare turca a Bashiqa, distretto di Mosul. Dal canto suo, Ankara giustifica la base militare in territorio straniero rispondendo di essere stata chiamata in causa da Baghdad, più precisamente dall’ex governatore della provincia di Ninive Atheel al-Nujaifi.

Via alle operazioni

Quest’ultimo sembra però confermare la tesi turca, annunciando che a breve, massimo in sette giorni, “partirà l’offensiva”, contro lo Stato Islamico, studiata in collaborazione con il governo regionale curdo.

Poi sarà da vedere cosa accadrà dopo l’eventuale liberazione, visto il mosaico etnico-religioso presente nella provincia di Mosul, divisa tra sunniti, sciiti, turkmeni e curdi, ora uniti solo dall’obiettivo comune di eliminare la presenza del califfato. Secondo alcuni osservatori, la Turchia è sul posto per evitare proprio che gli sciiti filo-iraniani assumano il controllo, magari minando anche il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan.

Conseguenze sulla popolazione

Oltre ai giochi di potere, saranno da valutare anche le ripercussioni sui civili, dato che le organizzazioni umanitarie stimano che un milione di persone sarà costretto a scappare dalla propria terra per via del conflitto, in più si aggiungeranno i rischi per la presenza di ordigni inesplosi. Il tutto senza dimenticare che gli sfollati iracheni sono già oltre 3 milioni, esposti a condizioni di vita particolarmente dure se non “inumane”, come afferma allarmata l’Unicef.

Fronte siriano

Sul fronte siriano invece tiene banco la decisione dell’amministrazione Erdoğan di serrare il confine con un muro di cemento lungo 900 km, ultimazione prevista per febbraio 2017. Lo scopo è quello di bloccare il flusso di profughi creando un’area cuscinetto in cui accogliere, in campi appositi, i richiedenti asilo. Ma anche di isolare i combattenti curdi vicini al Pkk per non fargli avere contatti con i curdi iracheni, ufficialmente per preservare l’unità del territorio siriano.