‘Caso Bernardini – La coltivazione domestica di cannabis è ancora reato? La discrezionalità nell'attivazione dell'azione penale obbligatoria’. È questo il titolo del dibattito svoltosi a Roma, nella sede dei Radicali, il 17 dicembre scorso. Il video integrale dell’evento è facilmente rintracciabile sul sito radioradicale.it, ma in questa sede ci limitiamo ad analizzare i punti salienti della lunga discussione, durata più di due ore. Presenti, tra gli altri, proprio Rita Bernardini (presidente onoraria dell'associazione Nessuno tocchi Caino), l’avvocato Giuseppe Rossodivita (segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, ispiratore dell’evento), Markab Mattossi e Carlo Monaco (rispettivamente vice presidente e segretario di Canapa Info Point), Andrea Trisciuoglio (segretario dell'Associazione LapianTiamo).

Scopo principale della discussione è stato quello di presentare singoli casi giudiziari per comprendere lo stato della legislazione in materia di coltivazione domestica di piante di marijuana. Quello più noto alle cronache è, certamente, il caso Rita Bernardini, la storica attivista Radicale più volte autodenunciatasi per aver coltivato piantine di cannabis sul terrazzo di casa allo scopo, ha sempre dichiarato lei, di fornire il frutto del suo lavoro come medicinale ai malati. La Bernardini ha subito delle condanne lievi, ma non è stata mai arrestata, facendo emergere il cortocircuito legale della discrezionalità dell’azione penale che, di fatto, esiste sulla questione della coltivazione domestica della cannabis.

Storia della disobbedienza civile dei Radicali

Il primo relatore ad intervenire è stato Giuseppe Rossodivita il quale ha ricordato le innumerevoli azioni di disobbedienza civile messe in atto negli ultimi decenni dallo scomparso Marco Pannella e dalla già citata Bernardini. Quest’ultima, spiega l’avvocato, “in numerose occasioni ha piantato delle piantine di marijuana sul proprio balcone di casa e l'esito che poi questa condotta ha portato evidentemente è stato totalmente diverso a seconda dell'autorità giudiziaria competente per territorio”.

Insomma, continua, “abbiamo avuto risposte assolutamente differenti da parte delle varie procure”. Quella di Foggia non ha mai indagato sulla Bernardini, mentre quella di Roma, “costretta” ad aprire un fascicolo, ha chiesto poi l’archiviazione. Un provvedimento senza alcun “riferimento alla realtà” perché le 56 piantine coltivate dall’attivista pannelliana sono state considerate “inoffensive”.

Decisione opposta alle sentenze di condanna spiccate ogni anno contro coltivatori ‘non famosi’.

La scusa ‘legale’, prosegue Rossodivita, è stata quella di affermare che la ‘piantagione’ non avrebbe mai raggiunto un livello di thc tale da essere considerato illegale, per colpa del clima di Roma. Una giustificazione quantomai opinabile. Lo scopo dei Radicali, con le loro azioni di disobbedienza civile sulla cannabis, è quello di “denunciare l’irragionevolezza” del presunto reato di coltivazione sancito dalla legge 309 del 1990.

L’intervento più atteso, naturalmente, è stato quello della Bernardini che ha ricordato come la prima e storica manifestazione di disobbedienza civile sulla cannabis fu fatta da Marco Pannella nel 1975 “fumando in pubblico uno spinello”.

Rimasta negli annali anche quella dell’agosto 1995 a Porta Portese. La Bernardini cita poi diversi studi giuridici per dimostrare l’inapplicabilità del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. E il dibattito prosegue con gli interventi degli altri relatori.