L’ordine esecutivo di Trump, che ferma per quattro mesi l’accesso dei rifugiati in Usa, e per altri tre quello dei cittadini provenienti da Iraq, Iran, Siria, Somalia, Sudan, Libia e Yemen, oltre a scatenare l’indignazione della gran parte dei paesi europei e le proteste di metà del popolo americano, sta facendo uscire fuori un mai visto scontro tra i poteri dello Stato. Sia giudici che procuratori federali hanno bollato l’iniziativa come anti costituzionale.

Il rischio di una ingiustizia irreparabile

Ad aprire le danze è stata Ann Donnelly, giudice federale di New York che ha ordinato la sospensione dell’ordine esecutivo firmato da Trump, ed ha emesso un "emergency stay", attraverso cui si proibisce su scala nazionale la deportazione delle persone fermate, poiché provocherebbe "danni irreversibili".

In tal modo chi è arrivato negli Stati Uniti con un visto valido ha la possibilità di potervi rimanere temporaneamente. In realtà la Donnelly non annulla l’ordine esecutivo di Trump ma ne sospende gli effetti. Ma come è arrivata la giudice federale a tale conclusione? Sabato sera, davanti alla sua corte, gli avvocati di due iracheni presentano un ricorso per i loro clienti bloccati all’aereoporto JFK, affermando che la deportazione in Siria potrebbe causare seri danni all’incolumità delle persone. Così la giudice pone una domanda agli avvocati che rappresentano il governo: "Come possiamo essere sicuri che non subiranno una ingiustizia irreparabile?" E loro rispondono che per mancanza di tempo non hanno potuto approfondire la questione.

Il sistema checks and bilance

Se la decisione della giudice Donnelly è diventata in brevissimo tempo simbolo di contrapposizione allo "stile Trump", il fatto che ella avesse la copertura costituzionale per sospendere l’ordinanza del nuovo inquilino della Casa Bianca, pone forte una nuova questione che si sta presentando con la politica della chiusura ai migranti, cioè quella inerente alla costituzionalità.

Perché il cosiddetto "checks and bilance", cioè il bilanciamento dei poteri, può innescare un vero e proprio scontro istituzionale tra potere esecutivo e giudiziario. A seguire la Donnelly analoghe decisioni sono state emesse da giudici del Massachusetts, Virginia e Washington. Mentre il caos e le proteste negli aereoporti rende surreale una situazione sociale potenzialmente esplosiva, i procuratori generali di 15 stati hanno emesso una dichiarazione congiunta con cui condannano l’ordine esecutivo, poiché ritenuto incostituzionale.

Essi affermano che la libertà religiosa è un principio fondamentale degli Stati Uniti, e nel frattempo che l’iniziativa presidenziale venga ritirata, si "impegnano a garantire che il minor numero di persone soffrano per questa situazione". I firmatari appartengono ai seguenti stati: Washington, California, New York, Pennsylvania, Massachusetts, Hawaii, Virginia, Oregon, Connecticut, Vermont, Illinois, New Mexico, Iowa, Maine e Maryland.