Quanto accade in Francia, con il duello alle presidenziali tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, non è altro che l'ulteriore e fedele fotografia del panorama politico internazionale. Nella seconda metà degli anni '10 del XXI secolo non esistono più le sfide tra destra e sinistra e nemmeno la contrapposizione tra capitalismo e socialcomunismo. Il nuovo dualismo è quello tra internazionalisti, figli diretti della globalizzazione, e nuovi nazionalisti, profondamente delusi da quest'ultima. Il 2016 sarà ricordato come l'anno del trionfo nazionalista, prima con la Brexit e la conseguente fuoriuscita del Regno Unito dall'Unione Europea, poi con la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane.
Ma il sistema 'globalizzato' sta presentando il conto ai vincitori: il distacco della Gran Bretagna da Bruxelles non sarà affatto indolore dal punto di vista economico; quanto a Trump, sta già sperimentando sulla propria pelle il potere consolidato dell'establishment statunitense che non ammette variazioni su temi consolidati da decenni. Il mancato decollo di alcuni dei punti cardine della campagna elettorale del nuovo leader della Casa Bianca, cone il Muslim Ban o il famoso muro messicano, sono stati chiari segnali in tal senso. La politica estera americana, inoltre, non è affatto mutata e quanto accaduto in Siria o accade tutt'ora nella penisola coreana ne rispecchia la coerenza che l'ha sempre contraddistinta.
Trump ha dovuto chinare la testa ed è stato 'premiato': la Camera ha approvato la sua riforma sanitaria che era stata precedentemente ritirata perché proprio alla Camera non ci sarebbero stati i voti necessari per approvarla. Consensi che Trump ha dovuto raccattare tra gli esponenti più conservatori del Partito Repubblicano.
Il populismo 'sgonfiato'
Nel 2017 la 'Internazionale Populista', idealmente costruita al vertice di Coblenza lo scorso gennaio, ha dovuto sopportare uno smacco dietro l'altro. La prima sconfitta era arrivata alle urne in Austria già alla fine dell'anno scorso, quando il Paese ha votato per la ripetizione del ballottaggio presidenziale tra il verde Alexander Van der Bellen e Norbert Hofer, rappresentante dell'estrema destra, scegliendo il primo.
Il 'raddoppio' degli internazionalisti contro il fronte nazionalista è arrivato dall'Olanda, dove le elezioni legislative hanno visto la conferma del premier liberale ed europeista Mark Rutte contro l'euroscettico Geert Wilders. Quanto alla Francia, una presidenza Macron è certamente benvoluta dai vertici dell'Unione Europea ed anche dall'establishment americano - sebbene Trump abbia espresso le sua stima ed il suo ideale sostegno a Marine Le Pen - perché garantisce una solida alleanza strategica. Viceversa, non sarebbe vista con grande entusiasmo dalla Russia poiché Macron, tra i candidati all'Eliseo, è sostenitore di una 'linea dura' nei confronti di Mosca e qui rappresenterebbe un nitido trait d’union con Francois Hollande.
Tra i leader politici intervenuti a Coblenza c'era naturalmente la padrona di casa, Frauke Petry, guida di 'Alternativa per la Germania'. L'estrema destra tedesca, in vistosa crescita nel 2016, starebbe colando a picco in base agli ultimi sondaggi che aprono la strada alle elezioni federali che si terranno il prossimo 24 settembre. In base alle previsioni, la Germania va verso il quarto mandato consecutivo di Angela Merkel, attualmente i cristiano democratici della cancelliera vengono accreditati del 34 %, tre punti percentuale in più rispetto ai socialdemocratici che hanno candidato alla cancelleria l'ex presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz. Alternativa per la Germania viene accreditata intorno al 7 %, addirittura cinque punti percentuale in meno rispetto agli ultimi mesi del 2016.
Una crisi evidente che ha spinto la stessa Frauke Petry ad annunciare il suo passo indietro nei confronti di un'eventuale candidatura alla cancelleria. A Coblenza, infine, c'era anche Matteo Salvini ma in tal senso l'Italia ha sempre scritto un capitolo a parte. Sebbene oggi cavalchi in maniera opportunistica temi spiccatamente nazionalisti, la Lega Nord resta un partito di ispirazione secessionista e, dunque, geograficamente limitato.