Il Russiagate, l'indagine circa il ruolo svolto dalla Russia nelle elezioni presidenziali americane che, contro ogni pronostico, hanno visto la vittoria di Donald Trump, e non della favorita Hillary Clinton, si arricchisce di nuovi elementi.

Tornando indietro nel tempo, il primo sentore della vicenda Russiagate si ha nel marzo del 2016, quando dal tycoon viene nominato manager della sua campagna elettorale, Paul Manafort. In seguito, il primo colpo di scena risale all'agosto dello scorso anno, quando il manager è costretto a dimettersi dal suo ruolo perché su di lui cade l'accusa di aver ricevuto dei finanziamenti provenienti dallo Stato russo.

A quel punto comincia a farsi strada il sospetto che il presidente Putin stia tentando di portare Trump sul podio, considerando, in aggiunta, la poca simpatia nei confronti verso Clinton e, più in generale, nei confronti dell'amministrazione di Obama, per le sanzioni verso la Russia per via della questione dell'Ucraina.

La scoperta di Facebook

Il procuratore speciale, Robert Mueller, ha continuato e continua con le indagini sull'interferenza di Mosca nelle elezioni presidenziali americane, mentre Facebook annuncia una scoperta: l'esistenza di oltre 470 account fasulli, associati a spot pubblicitari risalenti sin dal 2015, periodo in cui il tycoon ha annunciato la sua candidatura alle primarie americane, che hanno speso centomila dollari tra giugno 2015 e maggio 2017 per promuovere contenuti volti a favorire Donald Trump e che, ora, sono stati chiusi per violazione dei termini d'uso.

Da una tale indagine, richiesta dallo stesso CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, e condotta dal capo della sicurezza del Social Network, Alex Stamos, gli account sono stati ricondotti all'Agenzia per la ricerca su Internet, un'organizzazione che ha stretti legami con il governo russo e conosciuta per le sue campagne online e le attività dei suoi troll.

Dunque, ancora una volta, si punta il dito contro i russi, ancora una volta si addita loro la responsabilità di azioni truffaldine che, però, avvenivano fuori dal Paese. Le inserzioni non si riferivano esplicitamente alle elezioni, ma si focalizzavano su messaggi politici e sociali in grado di causare diatribe e polemiche, ad esempio trattavano il tema dell'immigrazione, dei diritti delle persone e l'uso delle armi negli Usa.

Allarme attacchi hacker

Allarmi e preoccupazioni giungono, inoltre, dalla società Symantec, specializzata nei sistemi di difesa cibernetici: essa precisa che il settore industriale di acqua, gas ed energia elettrica è sotto attacco di hacker che intendono boicottare reti e sistemi di controllo. Violazioni, queste ultime, risalenti anch'esse al 2015, ma che si sarebbero intensificate nel mese di aprile di quest'anno.

Il nome della Russia non è stato pronunciato direttamente ed espressamente, ma Erich Chien,, l'esperto di cybersicurezza di Symantec, ha spiegato, in primo luogo, che gli autori di siffatti attacchi è un gruppo di hacker che si è reso noto con lo pseudonimo di Dragonfly 2.0, o, come "Energetic Bear", ed è fortemente connesso al governo russo; in secondo luogo, tali hacker utilizzano stringhe di codice in russo. Altri codici presentano caratteri francesi, ma per la Symantec si tratta di un escamotage per rendere complessa l'identificazione dei cybercriminal.