Il naufragio delle regionali siciliane ha inevitabilmente riaperto scenari nel Centrosinistra non del tutto trascurabili. Il colpo di scena più importante riguarda direttamente Renzi, che non può dirsi più certo della candidatura d’ufficio a Palazzo Chigi. Il segretario del PD è il leader che esce più ridimensionato dalle urne, nonostante abbia cercato di rimanere ben lontano dalle vicissitudini isolane come gli suggerivano i sondaggi da tempo. Il plebiscito delle primarie è ormai lontano e in molti, anche all’interno del suo stesso partito, hanno cominciato a comprendere la necessità di costruire un ponte con le altre forze progressiste in vista delle politiche.

Senza una coalizione ampia, del resto, il PD si ritroverebbe a subire una nuova e forse definitiva sconfitta. Non sarà facile però convincere Renzi ad abbandonare i suoi sogni di gloria. Anche per questo il resto della compagnia ha cominciato a organizzarsi come non ha fatto prima d’ora. Gli esuli di Mdp, Sinistra Italiana e Campo Progressista, hanno serrato le fila e trovato la quadra intorno a un candidato che potrebbe mettere d’accordo davvero tutti: Pietro Grasso. Dopo la fuoriuscita polemica dal PD, l’attuale presidente del Senato non ha ancora sciolto le riserve ufficialmente ma è sembrato molto tentato dalla proposta unitaria recapitatagli a Palazzo Madama da Giuliano Pisapia.

Vento di primarie?

A sorridere dei risultati delle regionali è invece il Centrodestra che, grazie a Nello Musumeci, ha centrato una vittoria fondamentale che potrebbe fungere da apripista per le politiche. L’alleanza siglata da Berlusconi, Salvini e Meloni si rinnoverà (anche per via del Rosatellum) senza particolari problemi nel 2018.

Più intricata è la questione legata alla leadership. L’ex Cav, nonostante sia ancora ineleggibile (in attesa di novità da Strasburgo ndr), ha fatto intendere che non ci saranno sorprese rispetto al passato. Forza Italia in Sicilia è tornata infatti a viaggiare su percentuali importanti e la convinzione è che possa replicare la performance anche su scala nazionale.

Non la pensano così i suoi alleati che pretendono di discutere e decidere in modo collettivo il nome del prossimo candidato premier. Le primarie di coalizione potrebbero risolvere il rebus alla base, ma Berlusconi ha risposto picche. Chi spinge per questa soluzione è la Meloni le cui quotazioni, con la vittoria di Musumeci, sono date in forte ascesa. A lavorare sotto traccia allo sprint finale invece è Salvini, che comunque resta l’alternativa più realistica all’ex Cav.

Di Maio tira dritto

Nonostante sia arrivato a un passo dall’impresa in Sicilia, il Movimento5Stelle si ritrova ora a decidere cosa vuol fare da grande. Il candidato premier Luigi Di Maio ha confermato la linea di contrapposizione aspra ai partiti tradizionali.

Se alle prossime elezioni saremo la prima forza politica e otterremo il mandato dal presidente della Repubblica - ha scritto e chiarito attraverso la sua pagina Facebook - proporremo a tutti la nostra squadra di governo e il nostro programma per l’Italia e vediamo chi ci sta”. “Convergenze, alleanze, ticket, coalizioni - ha ulteriormente sottolineato - sono termini da paleolitico, ma soprattutto non ci interessano assolutamente”. Un concetto che però cozza con la nuova legge elettorale che favorisce in modo evidente le future alleanze tra forze politiche. Se non raggiungerà la fatidica quota del 40 per cento, in sintesi, il M5S sarà relegato ancora tra i banchi dell’opposizione in Parlamento.

L’escamotage però potrebbe arrivare dalla scuola della Prima Repubblica: Di Maio potrebbe incassare la cosiddetta fiducia tecnica dai partiti più affini (Mdp, SI e Lega in primis) senza che questi entrino in maggioranza.