600mila euro di guadagni da un'operazione di borsa al quanto sospetta, almeno secondo le carte secretate di recente dalla commissione parlamentare sulle banche, a tanto ammonta la "stecca" che, sempre secondo le intercettazioni, avrebbe fatto l'ingegnere Carlo De Benedetti, patron dell'impero editoriale Espresso-Repubblica (anche se da qualche mese ha lasciato formalmente le redini al figlio), e questa è l'accusa, grazie al suggerimento da parte del premier Matteo Renzi, avrebbe avuto informazioni sull'imminente approvazione del decreto sulle banche popolari, che di lì a poco avrebbe trasformato le alcune banche popolari, tra cui la famigerata Etruria, in s.p.a.

A quanto risulta dalle indagini, l'ingegnere De Benedetti, parlando al telefono con il suo broker finanziario, Gianluca Bolengo, avrebbe riferito di aver parlato direttamente col premier sull'imminente approvazione del decreto sulle popolari, favorendo in questo modo la certezza di fare un investimento che avrebbe fruttato all'ingegnere un ricavo di seicentomila euro da un investimento di cinque milioni di euro. Il Tribunale di Roma competente in materia aveva sentito segretamente gli indagati, dichiarandoli però di fatto non perseguibili, mentre per il broker è stata richiesta l'archiviazione, anche se al momento il gup non ha deciso.Il tutto era partito da una segnalazione fatta alla Consob, che aveva prontamente aperto un indagine e disposto il tutto al Tribunale competente che è quello di Roma.

Il reato in questa fattispecie di eventi è l'insider trading, cioè quando grazie a delle posizioni privilegiate, spesso in rapporti di relazioni con istituzioni ed enti terzi, si ottengono informazioni che possono turbare il mercato e dare un ingiustificato vantaggio a soggetti che manipolano le informazioni.

I personaggi in discussione si sono difesi adducendo che si sapeva da tempo dell'attuazione del decreto sulle banche popolari, ovvero quel provvedimento che trasformava alcune banche popolari in banche quotabili sul mercato finanziario.

ma i tempi e le metodiche, anche del tribunale di Roma, lasciano perplessi e soprattutto spingono a riflettere sulla pervicace e mai sepolta brutta abitudine di costruire rapporti, specie politica ed imprenditoria, basati su reciproche connivenze. Al di là dei risvolti penali, quindi, un presidente del consiglio che si intrattiene e riferisce qualsiasi tipo di informazione ad un privato cittadino, che tra l'altro ha interessi di un certo tipo, vedi di fatto il controllo di una buona parte della stampa italiana, è sempre da evitare e condannare.