In questo travagliata fase del dopo elezioni, un primo giro di boa è rappresentato dalla scelta dei presidenti di Camera e Senato. Cominciano a girare indiscrezioni secondo cui ci sarebbero dei primi avvicinamenti tra M5S e la coalizione di centrodestra, ovvero le due forze politiche che sono uscite vincitrici dall’ultima tornata elettorale del 4 marzo, con la Lega, stando a quanto viene detto, che sta operando in solitaria nelle trattative, non agendo da pivot della coalizione di centrodestra.

Toninelli (m5s) al Senato, Giorgetti (Lega) alla Camera

Questa è una delle prime ipotesi. Prededentemente era girato il nome di Roberto Calderoli. Il centrodestra ha in una buona possibilità di eleggersi quasi da solo il Presidente del Senato, ma vista la possibile convergenza, spunta il nome del senatore pentastellato Toninelli, resosi protagonista nella scorsa legislatura negli affari legislativi e curatore per parte grillina delle riforme elettorali. Altra ipotesi successiva, spunta il nome di Carelli, per la Camera, il giornalista di Sky passato nelle fila parlamentari grilline, molto apprezzato quest'ultimo, quanto pare, anche dal centrodestra. I tempi della diplomazie sono molto stretti.

Il 23 marzo, infatti, si aprirà la XVIII legislatura con la prima riunione dei due rami del parlamento. Dopo due giorni potrebbe definirsi il nome del nuovo presidente del Senato, mentre quello della Camera potrebbe arrivare dopo.

Nel frattempo, i leader, come è di consueto dopo le elezioni che non danno una maggioranza certa, ed in questo caso la situazione è davvero instabile, continuano i loro appelli, o per meglio dire, le loro strategiche dichiarazioni per vedere cosa fanno gli altri.

Salvini, aspettando l'evolversi degli eventi, continua a rivendicare la premiership, forte del risultato complessivo della coalizione. I cinquestelle, per bocca del loro capo politico DI Maio, con stile prettamente democristiano, diremmo ecumenico, esorta gli altri partiti, senza esclusioni, ad un dialogo per trovare una quadra per formare un governo, ovviamente a guida pentastellata.

Il Pd che fa? Sta fermo

Dopo la batosta del 4 marzo, e le dimissioni a breve del segretario Matteo Renzi, il Pd ha scelto di stare sull'aventino per ora, non ascoltando le sirene, anche quirinalizie, di richiamo alla responsabilità. A torto o a ragione, infatti, il partito democratico al momento non vuole essere l'ago della bilancia che permetta di sbloccare l'impasse in cui si trova il paese. Per bocca del Presidente, Orfini, i democratici ritengono che il compito di sbrigliare la matassa sia dei vincitori, quindi lega e m5s, e che loro debbono allearsi per trovare una quadra di governo.

Nel frattempo, sull'alto colle della Repubblica, Mattarella cerca di trovare una sintesi all'intricata rete dei partiti e movimenti che al momento non hanno intenzione di sbloccare la situazione.

Come riportano alcune veline di Palazzo, si vocifera che il Presidente Mattarella vorrebbe fare un governissimo con tutti dentro, quindi anche 5 stelle, per fare una legislatura costituzionale, fare certe riforme e leggi, in un'ottica di governabilità di lungo periodo.