Negli ultimi giorni, migliaia di manifestanti hanno invaso le piazze, per combattere ‘eroicamente’ il ‘nemico populista’. Tutti i partiti d’ispirazione progressista, da Liberi e Uguali a Potere al Popolo hanno manifestato nelle principali piazze italiane (Roma, Milano, Palermo) contro l’avanzata della cosiddetta destra reazionaria. Perfino il PD ed esponenti liberisti come Renzi e Gentiloni sono stati annoverati nel cosiddetto gruppo “di sinistra”. Mentre nella piazza romana e in quella siciliana i cortei sono andati avanti con relativa tranquillità, nel capoluogo lombardo la situazione si è rivelata decisamente diversa.

Tensione alta e scontri fra i manifestanti anti-fascisti e la polizia, incaricata di creare un blocco fra il corteo e il presidio di Casapound. In brevissimo tempo i principali quotidiani nazionali hanno iniziato a parlare del fatto, imprimendovi la maggiore enfasi possibile. La quasi totalità dell’opinione pubblica informata ha concentrato il succo delle proprie energie intellettuali sul dibattito delle destre, senza tuttavia interrogarsi sul perché di questa avanzata.

Perché, quando alcune formazioni politiche crescono, ci si concentra sul “come”, ma non sul “perché”?

Il problema nasce fondamentalmente da due fattori, la cultura o ideologia di provenienza e l’elemento emotivo. Questi due punti sono sufficienti a comprendere come, in maniera spesso “intrecciata”, essi agiscano negativamente sulla capacità di pensiero critico della persona.

Per fare un esempio: un militante di estrema destra aggredisce un africano. La notizia viene letta immediatamente dal pubblico. Immaginate la reazione; da un lato, un uomo di sinistra sarà doppiamente coinvolto, per due motivi: il primo è la provenienza ideologica dell’aggressore, il secondo è lo stato di indignazione. Dall’altro lato, un uomo di destra potrebbe reagire ridendo dell’accaduto, oppure interrogandosi sulla questione irrisolta del fenomeno migratorio, considerandolo ‘scomodo’ per l’Italia.

Senza mettere in dubbio che il ragionamento del secondo uomo sia semplicistico ed eticamente ‘chiuso’, nel primo caso, la faccenda è più complicata. L’uomo progressista non si interrogherà sulle motivazioni sociali che hanno spinto le destre xenofobe a riemergere, ma piuttosto su una soluzione frutto del proprio retaggio: ‘i fascisti vanno eliminati’, ‘scendiamo in piazza per manifestare’, ‘siamo arrabbiati’.

Ebbene, proprio questi ragionamenti lasciano presupporre una preferenza non indifferente per la pars destruens, senza pensare al vuoto politico generato dai fallimenti della politica italiana, spesso originatisi proprio negli anni di governo della classe dirigente progressista. Ebbene, a Milano, in un clima di rabbia e indignazione generale, manifestazioni parallele a quella anti-fascista, ovvero quella sul Jobs Act indetta dalla Camusso, sono state completamente trascurate.

Criticare senza costruire, cosa ha sbagliato la sinistra negli ultimi vent’anni?

Il crollo del muro di Berlino nel 1989 è stato un evento simbolicamente determinante per tutti i partiti socialisti e comunisti del mondo. Veniva di fatto a crollare il paese guida della rivoluzione socialista, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ormai stanca e logorata dalla continua gara contro il nemico capitalista d’Occidente.

Fu così che, in breve tempo, il blocco dell’Ovest non si ritrovò più a gareggiare con uno sfidante sistemico, ma ebbe modo di riorganizzarsi ed estendere la propria influenza e il proprio mercato laddove erano crollati numerosi esperimenti vicini al mondo sovietico. Di pari passo, cambiò progressivamente anche la cultura politica dei singoli paesi. Nel nostro paese, il Partito Comunista Italiano lasciò spazio ai DS (Democratici di Sinistra), all’Ulivo e alla Margherita, che diedero poi vita al Partito Democratico, guidato da Matteo Renzi. Le politiche progressiste, nel corso degli anni ’90, mutarono radicalmente, lasciando spazio a un riformismo ambiguo, dove un’opera di privatizzazioni si alternava a false promesse sulla convenienza, per il sistema Italia, nell’adozione della moneta unica, l’euro.

Queste politiche hanno avuto modo di protrarsi anche negli anni 2000, con gli ultimi e significativi atti di sconfessione del credo ‘progressista’ del PD: l’abolizione di un principio puramente socialista e progressista, l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Esso tutelava i lavoratori dipendenti in caso di licenziamento illegittimo, ingiusto e discriminatorio, con il reintegro con risarcimento e l'indennità in sostituzione della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo. Per non parlare delle privatizzazioni di settori importanti del paese, come l’energia. Alla fine, quella generazione di politici che ha caratterizzato il centro-sinistra, fra i quali Romano Prodi, traghettatore dell’Italia verso l’eurozona, ha creato un vero blocco di potere, non dissimile da qualsiasi altra forza politica di centro-destra.

Non è difficile comprendere che misure così impopolari possano creare un clima di sfiducia fra gli elettori, soprattutto se si considera che leggi di questo genere siano facilmente riconducibili a logiche di centro-destra. L’irrappresentabilità del popolo italiano ha generato un vuoto politico incolmabile, del quale, in primo luogo, si è progressivamente impossessato il Movimento 5 Stelle. L’ondata dell’anti-politica ha attraversato il paese negli ultimi dieci anni, spingendo gran parte dell’opinione pubblica a votare il partito fondato da Grillo, che ha assorbito una fascia consistente di elettorato, sottraendo consensi notevoli anche ai partiti di estrema destra e sinistra. Nell’ultimo anno, invece, con l’arrivo di flussi migratori sempre più consistenti e la crisi sociale e occupazionale in atto, i malumori di non pochi italiani si sono spostati verso la destra reazionaria e contraria all’immigrazione.

Matteo Salvini, leader della Lega, è riuscito ad acquistare non soltanto il consenso della Padania, ma anche quello di numerosi meridionali. Questi ultimi, immemori delle decennali umiliazioni e discriminazioni subite dal Carroccio, hanno scelto di seguirlo, con la promessa di uscire dalla gabbia dell’euro e di scacciare gli immigrati che 'rubano il lavoro'. Eppure, non è stata minimamente contemplata la rischiosa ipotesi di una politica economica anti-meridionale da parte della Lega, o la mancata risoluzione della crisi o, peggio, una deriva ulteriormente liberista di un possibile governo di centro-destra (dal momento che è Berlusconi a muovere le fila). Di fronte a questi scenari, esistono molteplici sinistre, una al governo che si dichiara progressista ma attua politiche di destra, un’altra “più a sinistra” ma confusa nella linea programmatica (LeU e PaP), l’altra ancora più ortodossa (Partito Comunista).

Ognuna con un programma, ma infinitamente distante dall’altra. Bastano questi elementi per far capire quanto sia difficile trovare un punto di convergenza fra le varie forze politiche in campo.

Quale potrebbe essere una possibile soluzione d’uscita da questo clima di conflitto alienante rispetto ai problemi sociali e reali del paese?

È difficile stabilirlo. Occorrerà aspettare e capire se è necessario che il paese sprofondi in una condizione di degrado ulteriore per comprendere che i leaderismi e le dispute ideologiche non gioveranno alle condizioni del popolo italiano. Di certo, lavoro e stabilità dovrebbero costituire le parole d’ordine di qualsiasi futuro programma politico.