Sabato 1 dicembre. Iscritti al Pd e semplici cittadini simpatizzanti del partito di Matteo Renzi e Nicola Zingaretti si sono recati nei gazebo per esprimere la propria preferenza alle elezioni primarie del nuovo segretario regionale del Lazio. Alla fine, i circa 60mila votanti accorsi alle improvvisate urne ha eletto Bruno Astorre che si è imposto sugli avversari Andrea Alemanni e Claudio Mancini. Numeri abbastanza contenuti, anche se in leggero aumento rispetto ai 50mila partecipanti del 2014. A fare notizia, però, è lo scoop pubblicato dal settimanale L’Espresso che è riuscito ad impossessarsi di un documento nel quale sono contenuti i dati delle votazioni degli iscritti al Pd nei circoli del lavoro o tematici di Roma che lo stesso periodico diretto da Marco Damilano definisce “terrificanti”.

Poche migliaia di iscritti al Pd hanno votato a Roma

Dunque, secondo il documento reso pubblico da L’Espresso, sarebbero solo 3.671 gli iscritti ai circoli Pd di Roma ad aver espresso una preferenza per uno dei tre candidati alla segreteria regionale del Nazareno. Numeri talmente surreali che l’autrice dell’inchiesta, Susanna Turco, si lascia andare ad un irriverente paragone con “un film anni Settanta di Nanni Moretti”. Una sorta di dialogo surreale tra i soliti “compagni delusi”, insomma. Tanto per fare qualche esempio, tra i militanti Dem che indossano la divisa della Polizia Municipale solo 4 si sono recati ai gazebo (votando tutti per Astorre per la cronaca). 5 sono stati i Ferrovieri, 11 i dipendenti Cotral, 3 quelli di Atac, 2 i Bancari.

Cifre più alte, invece, per i dipendenti di Sanità e Ambiente: ben 138. Tutti i Municipi della Capitale, infine, fanno registrare numeri intorno ai 200 partecipanti ciascuno.

‘Un partito sull’orlo del collasso’

Insomma, numeri talmente esigui da spingere il settimanale, notoriamente vicino a posizioni di sinistra, a parlare del Pd come di “un partito sull’orlo del collasso”.

E la situazione, secondo quanto emerso dall’inchiesta, non può essere considerata migliore nelle altre città italiane. A Torino, ad esempio, considerata una volta una ‘roccaforte operaia’. Ma nemmeno nella (fu) ‘Rossa’ Bologna, dove i circoli Dem si sono ridotti in 10 anni da 146 a 98. Per non parlare dei debiti contratti dal partito, dei conseguenti tagli al personale e, soprattutto, della attuale classe dirigente “rinchiusa nella filiera del consenso” autoreferenziale.