Thomas Eric Duncan, primo paziente a cui è stato diagnosticato il virus dell'Ebola negli Stati Uniti, è morto all'ospedale di Dallas dove era ricoverato. Duncan si è era ammalato in Liberia, contagiato per aver aiutato una coppia di amici a portare la figlia, che presentava diversi sintomi del virus in questione, dai dottori. A comunicarlo è il Texas Health Presbyterian Hospital, dove era ricoverato dal 28 settembre in isolamento. Da quella data, gli americani vivono in uno stato di profonda preoccupazione e caos, vista la mole di viaggiatori provenienti dall'Africa Occidentale che ogni giorno giungono sul territorio statunitense.

Diverse le disposizioni prese a Capiton Hill circa le forme di trattamento speciale per chi viaggia dall'Africa Occidentale, che vanno dai controlli della febbre all'aeroporto ad altre misure speciali come negare le domande di visto e vietare il ritorno di soldati e volontari che lavorano oggi in Liberia, Sierra Leone e Guinea, scrive Laurie Garrett sul sito 'Foreign Policy'. Nell'era della globalizzazione, appare essenzialmente impossibile bloccare l'ingresso di un virus attraverso le frontiere nazionali. Occorrono infatti giorni prima che il virus termini il periodo di incubazione e si manifesti nei sintomi che conosciamo. Duncan ne è un esempio calzante: i controlli aeroportuali sullo stato febbrile sono risultati negativi.

Il cittadino liberiano non ha infatti avuto né problemi di febbre durante il viaggio, né ha presentato i sintomi giorni dopo il suo arrivo a Dallas. Siffatte circostanze impongono un'attenzione massima e misure efficaci.

Secondo la Garrett, occorrerebbe mettere appunto un rapido point of care per l'analisi del sangue. Un rapido test point of care eviterebbe la necessità di spedire i campioni ad un laboratorio e di aspettare dei giorni per ottenere i risultati.

Questi test specifici per l'Ebola sono ora in fase di sviluppo, sul modello dei normali test sanguigni per rintracciare traccie di colesterolo e glucosio nel sangue, o le infezioni più comuni. Alcuni importanti donatori hanno già fornito i mezzi finanziari per accelerare lo sviluppo e la sperimentazione di tali kit medici e tra meno di un mese è probabile che saranno pronti per lo sviluppo commerciale e la sperimentazione da parte della Food and Drug Administration, scrive la giornalista americana.

Nel caso dell'epidemia africana, attualmente non esiste un modo per dire quali siano i portatori di Ebola, in quanto nessuno può essere diagnosticato infetto fino a quando i segni non sono tangibili. Un test point-of-care potrebbe facilmente aiutare a riconoscere le persone infette. Oltre che aiutare a riconoscere anche un'altra serie di malattie ancora largamente diffuse nei paesi dell'Africa Occidentale.

Diversi test sono ora in fase di sviluppo ma la ricerca, la sperimentazione clinica, e l'approvazione federale richiedono ancora miglioramenti. Un test point-of-care dovrebbe essere al top assoluto del programma di innovazione e controllo nel caso dell'Ebola. Se la ricerca di un trattamento potrebbe assumere un'importanza ed un'efficacia maggiore, fino a quando non si arriverà alla scoperta di un vaccino efficace al 100%, niente potrebbe rallentare la diffusione della malattia con un rapidità sufficiente da scongiurarne il pericolo.

Un test screening così pensato potrebbe, per velocità, precisione e facilità d'uso prevenire la diffusione delle malattia tra i viaggiatori, facilitare la formazione di un network internazionale creando una netta distinzione tra chi ha il virus e chi non ce l'ha. Ponendo così fine ai prolungati giorni di quarantena delle popolazioni non infette e stendere un velo di tranquillità sull'opinione pubblica mondiale. Le ricette proposte dalla Garrett sembrerebbero efficaci, certamente sarebbe inopportuno, in un momento così difficile, porre il veto senza una profonda valutazione a qualsiasi tipo di proposta per la soluzione di un problema che sta terrorizzando milioni di persone in tutto il mondo.