L’Alzheimer è un morbo che annienta il paziente e sconvolge la famiglia, scoperto agli inizi del 1900 da un medico tedesco, Alois Alzheimer. Ancora oggi non sono disponibili terapie efficacie. Ora un team di ricercatori internazionali ha scoperto le neurostatine, una nuova classe di composti capaci di prevenire la formazione delle placche di beta amiloide, responsabili della distruzione dei neuroni. Capostipite delle neurostatine è un antitumorale, il bexarotene. Anche un italiano nel team dei ricercatori.
Le neurostatine
Le hanno chiamate “neurostatine”, in analogia alle “statine” usate per ridurre il colesterolo e quindi il rischio di avere malattie cardiache, così queste sostanze andrebbero a bloccare la formazione delle placche di beta amiloide responsabili del processo neurodegenerativo, riducendo il rischio di Alzheimer.
Il team discienziati che ha partecipato a questa ricerca era composto da ricercatori di tre università, Cambridge (Regno Unito), Groningen (Olanda) e Lund (Svezia). Nel laboratorio inglese, un italiano, il professore Michele Vendruscolo.
Una delle molecole al centro di questa ricerca è il bexarotene, un composto sintetico attivo sui recettori dei retinoidi, a lungo studiato ed usato per il trattamento delle forme avanzate del linfoma cutaneo.
Studiato in passato, nella cura del morbo di Alzheimer, il bexarotene non aveva dato buoni risultati. Ora la scoperta della sua efficacia nella prevenzione, grazie alla capacità di bloccare il primo evento della malattia, l’aggregazione di un peptide normalmente presente nel nostro cervello, ma che in forma aggregata diventa tossico.
Cosa possiamo aspettarci
Finora tutti i tentativi fatti per curare il morbo di Alzheimer non hanno portato a risultati risolutivi. Il morbo sta raggiungendo numeri preoccupanti, si stima che oggi in tutto il mondo ne soffrono quasi 50 milioni di pazienti, e questo numero è destinato a crescere, mentre l’età della sua comparsa si abbassa.
I costi della malattia sono in continuo aumento e per il 2020 è stato stimato in 1000 miliardi.
La scoperta delle cosiddette neurostatine, può essere la svolta. Quello che possiamo auspicare è una conferma in studi clinici dei dati appena pubblicati, e arrivare a disporre di farmaci che prevengono la malattia. In realtà un primo studio clinico è stato effettuato nel 2014 e i risultati sono stati discreti.
Ma, a causa dei brevetti in scadenza e dell’elevata percentuali di insuccessi in questo campo (> 99%), nessuna azienda farmaceutica ha interesse ad investire su questa molecola. Attualmente ci sono 80 nuovi farmaci investigati in un centinaio di studi clinici per la demenza senile.
Intanto i ricercatori continuano la loro attività: prossimo obiettivo, identificare molecole capaci di interferire con i vari eventi che portano alla formazione delle placche di beta amiloide e cercare di contrastare quei meccanismi che, con l’avanzare degli anni, diventano meno efficaci nel difendere il nostro Benessere e mantenerci in buona Salute.