Tutti, prima o poi, ci siamo trovati nella condizione di ‘ascoltare’ con apprensione degli strani dolori al petto o al braccio e di domandarsi se non siamo in presenza di sintomi dell’infarto. Certo, riconoscere con tempestività tali segnali può in molti casi essere decisivo ai fini di una risoluzione positiva dell’evento, ma ancora più importante sarebbe mettere in pratica alcuni consigli di prevenzione come l’attenzione allo stile di vita ed il controllo di valori quali colesterolo, pressione e glicemia, in grado di ridurre sensibilmente il rischio infarto.

Prevenzione e sintomi dell’infarto

I sintomi dell’infarto possono essere di diverso tipo. Si va dal classico dolore al petto e al braccio sinistro, al dolore tra le scapole o alla bocca dello stomaco, alla sensazione di una morsa soffocante. Tali sintomi, di carattere prevalentemente doloroso, potrebbero però non manifestarsi nel caso di soggetti diabetici, le cui terminazioni nervose sono meno sensibili. In questo caso l’insorgere di una crisi cardiaca potrebbe manifestarsi sotto forma di una sensazione di malessere generale, accompagnata da sudorazione fredda e sensazione di svenimento. Riconoscere per tempo tali sintomi come segnali di infarto possono consentire di intervenire precocemente e salvare la vita al paziente.

Allo stato attuale delle conoscenze, è certamente possibile agire preventivamente per evitare l’insorgere di tali sintomi. Gli studi sul beneficio dell’attività fisica sul sistema cardiocircolatorio non si contano ed è ormai dato per scontato che i soggetti che svolgono attività fisica in modo regolare (almeno tre volte la settimana) anche solo camminando, vedono ridursi la pressione arteriosa e, di conseguenza il rischio infarto.

Altro fattore di riduzione del rischio infarto è l’alimentazione che, grazie ad una dieta povera di grassi animali e ricca di frutta e verdura, consente di ridurre e tenere sotto controllo i valori di colesterolo, in particolare quello ‘cattivo’.

Il colesterolo è infatti presente nel sangue in forme diverse. I due tipi principali sono il colesterolo “buono” e il colesterolo “cattivo”, entrambi circolanti sotto forma di aggregati di lipidi e proteine. È per questo che il primo è anche noto con l’acronimo HDL (dall’inglese High Density Lipoproteins, lipoproteine ad alta densità), mentre il secondo viene anche chiamato LDL (dall’inglese Low Density Lipoproteins, lipoproteine a bassa densità). Le HDL sono considerate “buone” perché, trasportando il colesterolo dai tessuti periferici verso il fegato, permettono di eliminarlo dall’organismo. Le LDL sono invece considerate “cattive” perché trasportano il colesterolo dal fegato verso i tessuti e, durante il loro tragitto, possono ossidarsi e depositarsi sulla parete delle arterie, contribuendo alla formazione di placche aterosclerotiche e aumentando, così, il rischio cardiovascolare. Scopri di più grazie ai consigli del medici del Policlinico "A. Gemelli" nell'iniziativa Viaggio al Cuore del Problema, powered by Danacol.

Fare prevenzione anche dopo l’infarto

Anche per i pazioentiche hanno subito un infarto (in Italia sono circa 130mila l’anno) ha ancora senso parlare di prevenzione.

Il 60 per cento dei post infartuati, infatti, fanno registrare un secondo evento nell’arco di due anni dal primo.

Le cause sono quasi sempre da ricercare nel progressivo abbandono delle cure mediche e degli stili di vita e di alimentazione consigliati dal cardiologo. Il valore del colesterolo, in particolare, dovrebbe essere tenuto costantemente sotto il livello di guardia fissato in 70 ml/dl che, spesso, non è possibile raggiungere con la sola somministrazione di statine. Si rivela fondamentale, anche in questo caso, l’azione benefica aggiuntiva di uno stile di vita corretto e di una maggiore attenzione all’alimentazione. Uno studio dell’università di Copenaghen ha dimostrato, ad esempio, che l’assunzione di soli 5 grammi di grassi insaturi al giorno, corrispondenti a 100 grammi di pop corn o ad una merendina confezionata, aumentano del 23 per cento il rischio di malattie cardiovascolari.