I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Si tratta di una Ricerca dal sapore fantascientifico. Da una parte una malattia rara, la sindrome di Lesch-Nyhan, responsabile di un eccessivo accumulo di acido urico nel sangue (iperuricemia). Dall’altra, uno studio sul patrimonio genetico dell’uomo e di sette specie di scimmie antropomorfe (cioè simili all’uomo), e di altri vertebrati. Attraverso la mappatura dei geni, si è arrivati ad individuare una mutazione di un gene, avvenuta nella catena evolutiva circa 20-30 milioni di anni fa, che codifica per un enzima, l’urato ossidasi (UOX).

La mancanza di questo enzima, presente in tutte le altre specie, è alla base della malattia.

La cura arrivata dagli ominidi

La ricerca sul patrimonio genetico sta consentendo cose fino a pochi anni fa inimmaginabili. Partendo anche da reperti fossili. All’Università di Parma, un team di ricercatori guidati da Riccardo Percudani, grazie ad un finanziamento Telethon, ha portato a termine uno studio su una patologia rara, la sindrome di Lesch-Nyhan. Si tratta di una malattia che porta ad un accumulo eccessivo di acido urico nel sangue. Questa condizione di iperuricemia determina una serie di problemi come gotta, danni ai reni e di tipo neurologico.

I ricercatori hanno mappato le informazioni genetiche derivante da diverse specie, cercando di cogliere le differenze esistenti tra di esse.

Dato che ogni specie, in un periodo evolutivo ben preciso, si è distinta dall’altra per il sopraggiungere di qualche mutazione genetica, uno studio di questo tipo può consentire di risalire al periodo evolutivo della specie, in cui è avvenuta una mutazione.

Attraverso questa analisi si è risaliti ad un periodo oscillante tra i 20 e i 30 milioni di anni orsono, quando i nostri antenati ominidi hanno subito una mutazione con conseguente inattivazione di un gene.

La conseguenza è stata la perdita della capacità di produrre una proteina, l’urato ossidasi (UOX). Ed è proprio la mancanza di questo enzima che i pazienti, affetti da sindrome di Lesch-Nyhan, con un deficit dell’enzima HPRT (ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi), non riescono a smaltire l’acido urico presente nel sangue.

Individuata la causa, ora sarà sufficiente correggere questa mutazione o sopperire con una somministrazione esogena, per tenere sotto controllo la malattia.

Cos’è la Sindrome di Lesch-Nyhan?

La malattia si origina per una mutazione di un gene (HPRT1), localizzato nel cromosoma X. Colpisce i maschietti che ereditano il difetto genetico dalla madre (portatrice sana). Questa è una malattia molto rara, causata da un difetto dell’enzima HPRT, che colpisce pochi individui, sin dalla prima infanzia. Con presenza di sabbiolina nelle urine e nel pannolino, associato a possibili danni renali. Questi bimbi iniziano a manifestare problemi neurologici, producendosi anche lesioni personali. Possono osservarsi problemi di deambulazione e di postura.

I pazienti affetti da Sindrome di Lesch-Nyhan possono vivere anche 50 anni, anche se in una condizione di disabilità totale con la necessità di assistenza continua. In Italia sono circa 40 i pazienti affetti da questa sindrome, 300 in tutta Europa.

La proteina urato ossidasi è coinvolta nel metabolismo delle purine ed è presente in quasi tutte le specie, dai batteri ai primati, mentre nell’uomo il gene risulta inattivato. Come afferma lo stesso Percudani, "la perdita dell'urato ossidasi durante la nostra storia evolutiva non è stata brusca ed è passata anche attraverso una variante parzialmente funzionante che oggi potrebbe rivelarsi efficace per evitare l'accumulo di acido urico nel sangue".

La scoperta dei ricercatori di Parma adesso può dare una possibilità di cura per questi pazienti.

Come spiega lo stesso Percudani: “Gli enzimi persi durante l'evoluzione potrebbero oggi essere impiegati per la terapia enzimatica sostitutiva della sindrome di Lesch-Nyhan”. E dare una speranza a questi pazienti.