Negli ultimi anni, soprattutto negli USA, il dosaggio del PSA è ritenuto un metodo di screening non ottimale, per il cancro alla prostata, in quanto, in molti casi, i potenziali rischi sono superiori ai potenziali benefici. Ma la popolazione maschile, superati i 40-50 anni, non esita a sottoporsi al dosaggio del PSA ritenendolo non invadente e, nel caso fosse positivo, poi si vede. Per dare una risposta più aderente a questa esigenza diffusa, l’ente di prevenzione americano ha ora fornito delle nuove indicazioni che vanno verso una indicazione personalizzata sull’opportunità o meno di sottoporsi a questo screening.
Al primo posto c’è il fattore età.
Consigliato dai 55 ai 69 anni
Il tumore alla prostata è, negli uomini, al primo posto come incidenza (19% di tutti i tumori diagnosticati). Grazie alle nuove terapie, la sopravvivenza a cinque anni è superiore al 90%. Numerosi studi hanno ormai dimostrato che dosare il PSA (antigene prostatico specifico) aumenta la possibilità di individuare, in una fase precoce, un cancro alla prostata. Ma la diagnosi precoce non si traduce in una riduzione della mortalità.
Tuttavia, il dosaggio di PSA può ridurre anche di un 20% la mortalità ma solo se effettuato in una determinata fascia della popolazione. Sono queste le premesse che hanno portato la U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF), una specie di agenzia della prevenzione statunitense, a ridefinire delle linee guida per questo tipo di screening.
Le nuove raccomandazioni individuano gli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni come candidabili al dosaggio del PSA, ma solo dopo un’attenta valutazione medica, sulla storia di ogni paziente. Ovvero, sono interessati i soggetti ritenuti a maggiore rischio come gli afro-americani e quelli che hanno una storia familiare di cancro alla prostata.
Nella popolazione degli ultra-settantenni il dosaggio del PSA è sconsigliato in quanto i benefici del test sono inferiori ai rischi mentre tra i più giovani (sotto i cinquant’anni), la malattia è molto rara.
Le nuove indicazioni della USPSTF si applicano a tutti gli uomini che non hanno segni o sintomi di cancro alla prostata, o sono considerati a rischio basso o medio.
Gli autori del documento fanno rilevare che sarebbe comunque necessario disporre di un numero maggiore di dati sulle popolazioni ad alto rischio, in quanto ancora aggi non si dispone di procedure condivise sugli interventi specifici più efficaci da adottare in questi casi.
Perché c’è tanta perplessità sul dosaggio del PSA?
I motivi vanno cercati nel rapporto vantaggi/rischi. Un uomo che si sottopone al dosaggio del PSA, se questo risulta alterato, inizia subito un percorso che prevede ulteriori accertamenti, anche invasivi e costosi (es. biopsia), fino ad arrivare all’intervento chirurgico con tutte le conseguenze che questo comporta. Ma se quest’uomo non avesse fatto il test PSA, probabilmente avrebbe vissuto lo stesso numero di anni senza aver sperimentato tutto il dramma appena descritto.
Per questo gli specialisti ritengono che il dosaggio del PSA debba essere destinato solo a quella popolazione che può trarne un reale beneficio.
E poi ci sono i falsi positivi. Infatti ci sono molte (troppe) circostanze in cui i valori del PSA sono alterati in assenza della malattia tumorale. E’ sufficiente uno sforzo fisico, come andare in bicicletta, prima del prelievo, o soffrire di patologie benigne alla prostata, una insufficienza renale, una esplorazione rettale, un rapporto sessuale recente ed ecco che i valori del PSA aumentano.
Sul fronte opposto, un cancro alla prostata può essere scovato casualmente senza la presenza di sintomi, in quanto quello alla prostata è un tumore che cresce così lentamente che ci sono molte probabilità che un uomo arrivi al termine della sua vita senza neppure sapere di averlo, oppure si sviluppa in età così avanzata che non ha il tempo di dare segno di sé.