Una curiosa ricerca effettuata tra gli impiegati di vari settori in Nebraska, circa 50, ha evidenziato che la maggior parte degli impiegati bullizzati all’interno del proprio ambiente di lavoro, riceveva dai propri cari consigli pre-impostati, piuttosto scontati, finalizzati all'aiuto del soggetto. Di fatto questi consigli non funzionavano o peggioravano la situazione, ma nonostante ciò gli impiegati intervistati sostenevano che avrebbero offerto lo stesso consiglio al prossimo amico in difficoltà. “È allarmante - sostiene Stacy Tye-Williams, professore di Studi sulla Comunicazione della Iowa State University (Ames, Stati Uniti d’America) - perché significa che le vittime non hanno capito e non sono state portate a realizzare le vere strategie utili al fine di neutralizzare l’azione del bullo sul luogo di lavoro”.

La vittima perde il senso della realtà

In uno studio affrontato da questa ricercatrice i soggetti intervistati, che erano vittime di violenza al momento o che lo erano state in passato, hanno in maggioranza riportato di non aver fatto nulla di sbagliato e che di conseguenza non avrebbero dovuto lasciare un lavoro di cui godono. L’impressione più diffusa è quella di una sorta di “giustificazione morale” per cui sono disposti a soffrire l’abuso, pur di non far vincere il bullo. In realtà, dice Tye-Williams “soffrire in silenzio raramente risolve la situazione del bullizzato”.

Approcci alternativi per affrontare il bullismo

Dai resoconti delle ricerche effettuate sui casi analizzati "è divenuto chiaro quanto sia importante aiutare i destinatari a comprendere approcci alternativi per affrontare il bullismo" aggiunge Tye-Williams.

In primis è risultato di vitale importanza creare situazioni in cui le persone siano libere di condividere con altri ciò che è stato utile e ciò che non lo è stato, e sviluppare e stimolare delle “tavole rotonde” in cui possano proporsi idee diverse e soluzioni creative rispetto al problema. Quindi elaborare dei consigli concreti sperimentati sul campo, prendendo spunto anche dalle storie di chi ce l’ha fatta.

E ridimensionare invece le opinioni di colleghi e amici che dovrebbero limitarsi ad un ascolto puro e semplice senza giudizi affrettati o controproducenti.

Non disinnescare le emozioni

I dipendenti che si sono resi disponibili all’intervista hanno condiviso racconti molto sofferti della loro esperienza di bullismo e hanno avuto delle reazioni esagerate anche quando i loro cari o altri colleghi li invitavano a calmarsi o a nascondere la propria rabbia e il proprio dolore.

Tye-Williams è molto sicura su questo: “Dicendo alla vittima di calmarsi, le si creano notevoli danni. Quando si parla di esperienze di lavoro traumatiche, è importante permettere alle persone di avere uno spazio per esprimere le loro emozioni. Per me sarebbe anormale se una persona trattata nella medesima situazione non avesse alcuna reazione emotiva”.

Serve uno spazio sicuro per le vittime del bullismo

I ricercatori hanno scoperto che alcune vittime, quando veniva detto loro di calmarsi, tendevano a chiudersi e smettere di parlare degli abusi, soffrendo in silenzio. Ecco perché è necessario fornire a tutti uno spazio sicuro per parlare apertamente della situazione e far sentire loro che la loro voce viene ascoltata.

Tye-Williams ha cercato infine di interfacciarsi con la dirigenza degli stessi dipendenti, ma anche qui la mancanza di risposta o risoluzione manageriale è stata un’altra conferma della complessità di gestione del bullismo sul luogo di lavoro. I dirigenti spesso si aspettavano che i dipendenti risolvessero la situazione da soli, nonostante non fosse un’aspettativa ragionevole, e altre volte non sapevano proprio come essere utili.