È rosa la firma del film Parla che ti sento in presentazione a Cannes, proprio in questi giorni, nella sezione "Cortometraggi" del famoso Festival del Cinema Internazionale. Cosa ha di diverso dagli altri? Il dubbio oltre l'ovvio, è quello che la regista Idria Niosi vuole insinuare nello spettatore, sullo sfondo di una attualissima tematica sociale che chiunque di noi può sperimentare tutti i giorni in qualsiasi tipo di ambiente. È un gioco che vuole fare con la nostra sensibilità più profonda, Idria, stimolando la nostra attenzione già dalle parole che utilizza nel titolo.

“Talk as I can… feel” è infatti la versione inglese, forse proprio quella nata nell’idea di origine dell’autrice, nonostante sia di madrelingua italiana. È un paradosso, vero? Eppure ben si sposa con la personalità intercontinentale della giovane regista, da sempre amante del mondo oltreoceano e che, come nelle più belle favole nasce in una piccola realtà di provincia, sognando il grande cinema e le luci di Hollywood e forse stavolta, ci arriverà davvero.

Il messaggio

Talk cioè parlami, in modo che io possa sentirti. L’inglese rende bene con feel il significato che non è meramente uditivo, ma appartiene alla sfera emotiva, affettiva, di condivisione umana profonda. Il miscuglio di campi semantici è solo il primo indizio di una mentalità poliedrica, provocatrice.

Idria ci porterà per forza di cose a investigare, a chiederci quali e quanti siano i messaggi che ci aspettano all’interno di questa breve ma intensa trama di vicende, in cui il qui ed ora costituito da una semplice panchina e due uomini, si connette in realtà in mondovisione con il vissuto di tantissimi uomini e di altri come loro, in prospettiva diacronica nel passato, e quanto prima nel futuro.

Idria Niosi: “La storia di Parla che ti sento” si ispira ad eventi realmente accaduti e alla mia stessa esperienza durante i primi approcci col mondo della sordità: rendersi conto che le persone sorde possono sviluppare delle capacità che alcuni udenti non riescono neppure a concepire senza viverle in prima persona, scoprire la loro propensione ad interagire, a comunicare in qualche maniera, con una consapevolezza e una leggerezza veramente spiazzanti, perché non te lo aspetti. […] Ed è proprio questa non conoscenza della condizione di sordità che bisogna abbattere in tutti i modi possibili, […] perché lo scambio che può venirne fuori è davvero qualcosa di eccezionale”.