L’approccio, appena pubblicato su Cell Reports, dimostra come delle piccole molecole sono in grado di stimolare nell’organismo la produzione di melanina, indipendentemente dall’esposizione ai raggi UV. Se questi dati venissero confermati, un approccio di questo tipo potrebbe dare un fattore di protezione a tutti quei soggetti con una pelle chiara e che sono a maggior rischio melanoma.
Aumentano i melanomi e nuove strategie si impongono
Fino a pochi anni fa il melanoma veniva considerato un tumore raro, ma ora la sua incidenza è in continua crescita, ovunque.
Basti pensare che, negli ultimi anni, l’incremento è stato mediamente del 10% per arrivare ad una incidenza raddoppiata, in trent’anni, negli Stati Uniti. Paesi come Australia, Nuova Zelanda e quelli del Nord Europa, fanno registrare le incidenze superiori (12-20 casi ogni 100mila abitanti verso i 2-3 casi dei Paesi del bacino mediterraneo). Secondo l’OMS ogni anno nel mondo vengono effettuate 132mila nuove diagnosi di melanoma con una lieve prevalenza nelle donne rispetto agli uomini. In Italia ci sono 7mila nuovi casi l’anno che portano a circa 1500 decessi, con una maggiore incidenza nelle regioni settentrionali.
Un altro aspetto di questo tumore è il livello di sensibilità della pelle ai raggi UV.
E’ ben noto che una pelle scura è più protetta dai raggi solari mentre una pelle chiara è molto più sensibile. La colorazione della pelle è conferita dalla eumelanina, la forma di melanina più abbondante presente nel nostro organismo, soprattutto negli individui con pelle e capelli scuri. I dati epidemiologici mostrano chiaramente l’esistenza di una correlazione tra esposizione a raggi UV e aumento del rischio dei tre principali tumori della pelle: melanomi, carcinomi basocellulari (o basaliomi) e carcinomi spinocellulari (o squamocellulari).
Riuscire ad aumentare il livello di melanina porterebbe ad riduzione dei rischi di queste forme tumorali, soprattutto nei soggetti con pelle chiara e più sensibile. Finora non erano note sostanze (farmaci) in grado di stimolare la produzione di melanina. E questo dovuto principalmente alla struttura e alla funzione dell'epidermide, una barriera invalicabile che non permette a molecole stimolanti la melanina di oltrepassare lo strato esterno, e svolgere il proprio compito.
Piccole molecole inibitrici di Sik
Lo studio di David E. Fisher e collaboratori, del Massachusetts General Hospital, Harvard Medical School di Charlestown (Stati Uniti), pubblicato su Cell Reports, descrive, in un modello animale, l’effetto di piccole molecole, con un’azione inibitrice la chinasi “Sik”, sulla stimolazione della produzione di melanina scura (eumelanina), anche in assenza di raggi UV. Queste molecole sono state quindi in grado di superare la barriere cutanea fino a raggiungere, a livello intracellulare, i centri di controllo della produzione di melanina.
Perché proprio questa chinasi? Sik (Salt-inducible kinase) è in grado di regolare MITF (fattore di trascrizione della microftalmia) che a sua volta controlla l’attività degli enzimi necessari alla melanogenesi, quindi la produzione di melanina.
Questi inibitori, in particolare due piccole molecole indicate con le sigle YKL 06-061 e YKL 06-062, sono in grado di produrre melanina dopo una settimana, con una somministrazione al giorno applicata localmente. Una volta che la melanina è stata prodotta rimane presente per diverse settimane prima di essere eliminata. Inoltre, sempre da questo studio, è emerso che questi composti non hanno alcun effetto sistemico, ma la loro azione è locale. Adesso bisognerà attendere lo studio clinico di questi inibitori o altri composti che verranno eventualmente sviluppati. Intanto, gli autori ritengono che composti (farmaci) di questo tipo, associati a creme protettive, rappresenterebbero un eccellente sistema protettivo verso i melanomi, soprattutto nei soggetti più sensibili, con pelle chiara.