Questa ricorrenza fu istituita nel 1994 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’alzheimer’s Disease International (ADI). Obiettivo era e rimane sensibilizzare l’opinione pubblica verso un dramma che, in tutto il mondo, interessa 36 milioni di persone oltre al devastante impatto su chi sta vicino a questi pazienti. Si tratta della forma più comune di demenza senile che porta ad una progressiva perdita di memoria e delle funzioni cognitive. Un morbo destinato ad aumentare notevolmente nei prossimi anni.

Ogni 3 secondi un nuovo caso

L’Alzheimer è la forma più diffusa di demenza della terza età. Stime recenti parlano di 50 milioni di malati nel mondo, dato destinato a raddoppiare entro il 2050. Ogni anno vengono registrati 9,9 milioni di nuovi casi, pari a un caso ogni 3,2 secondi. Il 19 settembre sono in programma una serie di iniziative nelle varie città italiane, al fine di sensibilizzare il pubblico verso un dramma che nel nostro Paese oggi conta circa 600mila malati. Numeri destinati a raddoppiare nei prossimi 30 anni a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

Un paziente con Alzheimer ha un’aspettativa di vita dimezzata rispetto ad un coetaneo sano. Ma questa malattia ha anche delle profonde ripercussioni sulle persone che circondano il paziente, parenti e caregiver (badanti, infermieri e assistenti).

Per ogni malato di Alzheimer, i costi annuali diretti, secondo stime effettuate in vari Paesi europei, oscillano da 9.000 a 16.000 euro. In Italia, il costo socio-sanitario complessivo per la gestione della demenza è annualmente stimato in 10-12 miliardi. La metà solo per i malati di Alzheimer.

Passi avanti nella diagnosi precoce ma non nelle terapie

Ora presso l’Università di Bari, un team di ricercatori guidati da Nicola Amoroso e Marianna La Rocca, applicando i principi dell’intelligenza artificiale, hanno sviluppato un algoritmo in grado di diagnosticare l’Alzheimer ben 10 anni prima che questa si manifesti clinicamente.

Questa tecnica è basata sulla comparazione di risonanze magnetiche di cervelli sani (68 immagini) verso cervelli di soggetti malati di Alzheimer (38). Con queste informazioni nel database, quando sono stati analizzati 148 risonanze appartenenti rispettivamente a 52 soggetti sani, 48 soggetti con Alzheimer e 48 affetti solo da una live disabilità cognitiva evoluta nel tempo ad Alzheimer, l’algoritmo è riuscito a distinguere i vari casi con un’accuratezza dell’84%.

Certo, questo è solo un primo passo e un’approssimazione dell’84% non è un dato molto accurato. Ma, continuando su questa strada, e integrando questi dati della risonanza con altre immagini come quelle derivante dalla PET e con altre informazioni come esami del sangue, della retina, del liquido cerebro-spinale e di altri tessuti, si potrà giungere una diagnosi precoce di Alzheimer con una buona approssimazione.

Certo, queste sono tecniche costose che qualora fossero messe a punto non sarebbero utilizzate per screening di massa ma limitate a coloro che sono a maggior rischio, per storia familiare o personale.

Dal punto di vista delle terapie, i farmaci disponibili non riescono a risolvere in problema anche se identificato in una fase precoce tuttavia, anche su questo fronte, passi avanti si stanno compiendo.

Proprio su questo giornale recentemente abbiamo descritto i risultati ottenuti con la galantamina, un inibitore competitivo e reversibile dell’enzima acetilcolinesterasi, capace di dare una risposta positiva nel 70% dei pazienti e ai risultati di uno studio di Fase clinica 1, con un vaccino anti-Alzheimer (AADvac1), specifico per le proteine tau.

Ora bisognerà attendere che questi farmaci completino la sperimentazione clinica e che siano ben presto disponibili a tutti i pazienti. E che altri, ancora più efficienti, ne vengano sviluppati in grado di bloccare o curare la malattia già nelle sue prime fasi, visto che le tecniche diagnostiche sembrano in grado di poterlo già fare.