Sono 6 milioni gli italiani colpiti da ansia e depressione, i due più diffusi disturbi nell’ambito della psiche umana. Una delle maggiori cause è lo stress accumulato sul posto di lavoro, che unito alla scarsa propensione nell’affrontare l’argomento sia da parte dei lavoratori che dei datori di lavoro, ha come risultato una statistica di 1 lavoratore su 5 che soffre di una di queste due patologie.

La costante agitazione

Scrivere di ansia, al contrario che scrivere di depressione, è quasi elettrizzante: in parte perché dopotutto si tratta di una condizione in cui tutto è improvvisamente fin troppo eccitante.

Un aggettivo che per pura coincidenza è possibile accollare anche ai caotici movimenti dell’inizio di questo ventunesimo secolo. Citando gli ebooks di Horse, “Everything happens so much.’’ L’esistenza in uno stato di constante agitazione è spiacevole, ma è anche utile. Le persona ansiose portano a termine quello che devono fare - almeno fino ad un certo punto. Dopodiché, la produttività collassa in una condizione conosciuta eufemisticamente come stress, esaurimento, o totale, attanagliate, devastante crollo nervoso.

La definizione base dell’ansia la descrive come uno stato psichico di un individuo cosciente, preoccupato e impaurito, che si associa all’incapacità dell’organismo di adattarsi ad una determinata situazione, che si esprime sotto forma di stress - il quale avrebbe come obiettivo di spingere l’individuo ad uno sforzo per adattarsi.

Come emozione quindi di base è funzionale, fintanto che l’emozione non diventa patologia. L’ansia ci spinge a fare le cose in fretta, a scegliere determinate cose guidati dall’ansia stessa. Il fatto che non sia la guida migliore che si possa trovare è ovviamente da discutere. E dopo la depressione, che ormai è terribilmente anni ‘90, pare che la malattia del secolo e dei Millennials sia appunto questa.

Le conseguenze di questa patologia non ricadono solo sull’individuo, o meglio, sui 260 milioni di individui al mondo che soffrono di ansia: basti pensare che i disturbi psichici rappresentano il 26% di tutte le disabilità ed hanno grave impatto sulla quantità e sulla qualità della vita, influenzando anche i famigliari delle persone colpite.

Ansia e depressione costano circa mille miliardi di dollari in termini di produttività sul luogo di lavoro, secondo l’OMS.

La bile nera e l'equilibrio

Per gli antichi greci era la melanconia, nome ripreso dalla bile nera che doveva esserne la causa. I rimedi per questa malattia erano vivere alla luce, non mangiare pesante, bagni, moto, ginnastica e musicoterapia. Tutti modi per stabilire o ristabilire una sorta di equilibrio del corpo. Il concetto di equilibrio era estremamente importante per i greci - basta pensare alla proporzione perfetta nell’architettura e nelle statue - sopratutto come concetto filosofico. La giusta misura, il giusto mezzo, è una delle chiavi della filosofia aristotelica.

Aristotele aveva presente il concetto di limite, e ogni virtù poteva o eccedere o mancare in quantità, venendo deformata. La giusta misura, o il metron, era la chiave dell’equilibrio sia del corpo che dell’anima.

Aggiungendo l’idea di limite alla definizione, l’ansia si potrebbe caratterizzare come fondamentalmente assenza di limiti delineati, assenza di sicurezza e incertezza. Incertezza sul futuro, in parte sul presente, incertezza nelle scelte da compiere. Indeterminatezza in ciò che accade, e in ciò che potrà accadere.

Il problema dell’ansia è che si mette in mezzo alle nostre decisioni. Ci trasforma da relativi adulti in bambini spaventati, che farebbero qualsiasi cosa per essere rassicurati, perché qualcuno si prenda le loro responsabilità - un esempio pratico, qualcuno come Donald Trump negli Stati Uniti.

Il presidente americano è più lontano da essere la causa della nostra ansia piuttosto che da essere una delle conseguenze. Yoda diceva che la paura può essere facilmente trasformata in odio, e l’ansia è una forma di paura.

Tecnologia, produttività e competizione

Il lavoro, come abbiamo visto, è una delle principali cause di ansia, per la quantità di stress che causa nei lavoratori. Ma non può essere solo il lavoro, visto che sono anche e soprattutto i Millennials che soffrono d’ansia, quasi da farla sembrare una tendenza. Questo diffuso malessere può essere in parte dovuto alla rapidissima evoluzione tecnologica che ci ha resi in breve tempo dipendenti dalla tecnologia stessa? In parte sì ed in parte no.

Ci sono alcune fobie legate alla tecnologia e in particolare agli smartphones, per esempio la nomofobia, ovvero la paura di non essere raggiungibili al cellulare; ma non costituiscono il punto centrale della problematica dell’ansia. Piuttosto, si tratta del fatto che i social media e la tecnologia ci rendono spesso passivi piuttosto che attivi, mentre fissiamo frammenti costruiti delle vite altrui che paiono perfetti e ci ricordano che noi non lo siamo, e che questa mancanza di perfezione ci condanna al fallimento. Viviamo in una cultura in cui la competizione è costante e la valutazione brutale, come la pressione ad avere successo, nonostante il significato di questa parola sia molto vago. Per riprendere l’articolo The Globalized Jitters di Laurie Penny, siamo appesantiti dai debiti, stanchi per un infinito lavoro insicuro, e bombardati da promemoria che se barcolliamo, rimaniamo indietro oppure semplicemente perdiamo ad un gioco che è inevitabilmente truccato in favore dei ricchi e della loro progenie, è colpa nostra perché non abbiamo lavorato abbastanza duramente.

Malcolm Harris, nel libro Kids These Days, traccia un interessante profilo psicologico da osservare. L’autore ammette che viste le trasformazioni dell’ambiente socioculturale americano, sarebbe una sorpresa se i giovani non soffrissero d’ansia, e non il contrario. Le loro vite girano attorno ad una produttività, una competizione, una sorveglianza e un successo obbligatorio che sarebbero stati considerati di livello eccezionale appena vent’anni fa. In questo quadro, l’ansia non solo una fastidiosa conseguenza di tutto questo; sono anche utili per il sistema stesso. Il fatto che siamo divorati dall’ansia, irrequieti e insoddisfatti è solo una delle maniere di adattarsi alla flessibilità richiesta attualmente in quasi ogni campo della nostra esistenza.

Kierkegaard, l'angoscia dell'incertezza e la libertà

Potremmo dire che flessibilità sia solo la parola alla moda per definire incertezza e precarietà, trasformandole in una specie di virtù che tutti dovremmo sviluppare. Per il filosofo danese Søren Kierkegaard, l'angoscia - o ansia - deriva dalle infinite possibilità di scelta che l'uomo ha e che comunque porteranno tutte indistintamente al fallimento. L'uomo è ciò che sceglie di essere quando compie determinate scelte; ed è questo che porta l'angoscia, l'essere perennemente nell'indeterminatezza e nello stato di dover scegliere, sapendo quando la scelta sia determinante per il carattere umano. Ma l'angoscia porta anche la coscienza della profonda libertà dell'uomo.

Quindi, se da un lato l'incertezza e l'ansia ci portano in uno stato di infelicità, possono anche essere viste come una sorta di affermazione della nostra libertà. Bisognerebbe in questo senso davvero sviluppare una flessibilità, ma nel senso in cui è necessario essere flessibili nella distinzione tra le cose che meritano di darci ansia e le cose che invece possiamo interpretare come possibilità di essere liberi. Non è un esercizio immediato, ma meglio che lasciarsi divorare dall'ansia nel momento in cui abbiamo un problema di qualsiasi tipo.

La complicazione sorge nel nostro tempo quando ci rendiamo conto che motivi per cui essere ansiosi ce ne sono davvero - e non si tratta della connessione internet che va e viene.

Possiamo sottoporci a tutta la musicoterapia che vogliamo, fare yoga e comprare caffè bio, ma tra disastri climatici, Trump che imperversa con dichiarazioni e decisioni discutibili, e la traballante situazione mondiale al momento, c’è come sempre poco da stare tranquilli. La domanda che ci poniamo tutti, in continuazione, come scrive Laurie Penny nel suo articolo The Globalized Jitters, è se andrà prima in pezzi la nostra vita oppure la civiltà occidentale.

Non c’è nessuno che ti da una cura per questo tipo di ansia. Non ci sono medicine che funzionino un granché, e nessuno riesce a risolvere il problema del tardo capitalismo che sta implodendo su se stesso, trascinandosi dietro democrazie e diritti umani.

Ovvio che siamo ansiosi: se vivete su questo pianeta e non siete ansiosi, sarebbe bello poter conoscere il nome della medicina che tenete nell'armadietto del bagno - anche se è probabile che siano semplicemente soldi.

Possiamo prendere esempio ancora l’articolo della Penny, citandone la conclusione: « Accendemmo la tv senza volume, e Guardammo ricchi e anziani uomini bianchi che si urlavano silenziosamente addosso sul grande schermo. Ci chiedemmo ad alta voce quanto di quello che ritenevamo importante gli sarebbe sopravvissuto. E decidemmo, quietamente, che era accettabile essere ansiosi, non avere risposte, cercare un qualsiasi conforto, avere voglia di vomitare la metà del tempo - perché almeno non stavamo porgendo i nostri cuori verso dei tiranni venali che ci promettevano di liberarci dalle paure, e nemmeno ce ne stavamo fregando, lasciando semplicemente che accadesse.

Avremmo provato a tranquillizzare noi stessi, come degli adulti; ed è stato il momento in cui abbiamo tirato fuori il gelato e sintonizzato sui cartoni animati, e in cui ci siamo ricordati di prendere le nostre medicine serali. »