Nocivo come il tabacco, dovrà avere un'etichetta di allerta come quella che c'è sui pacchetti di sigarette. Il caffè è finito sotto accusa. Tra bibite e alimenti non si può stare mai tranquilli, ogni giorno ce ne è una. E quando si è convinti delle proprietà benefiche di un prodotto, le certezze sono presto rimesse in discussioni da nuove 'svolte'. Stavolta è stato incriminato l'oro nero sorseggiato a ogni latitudine, ogni giorno più volte al dì, da milioni di persone nel mondo. E' finito sul banco degli imputati in una reale aula di giustizia americana, precisamente in un tribunale di Los Angeles, California.

C'è una miriade di studi scientifici sulla bevanda nera, l'ultimo dice che tre tazze di caffé al giorno fanno bene al cuore, ma in merito agli effetti sulla salute umana gli esiti sono controversi. Ora però in ultimo arriva la sentenza di un giudice Usa: stabilisce che i produttori informino i consumatori che potrebbe essere cancerogeno.

Un caffé 'lungo' otto anni

Sotto accusa in realtà, non è il caffé in quanto tale, ma una sostanza chiamata acrilammide che si sprigiona durante la torrefazione dei chicchi ad alte temperature. La stessa sostanza si produce ad esempio dalla frittura delle patatine. Ora c'è stato un processo lungo otto anni, un iter giudiziario ad andamento lento non solo in Italia.

Ad intentare la causa era stata l'associazione no profit 'Council for Education and Research on Toxics' mossa dalla volontà di costringere le multinazionali quali 'Starbucks' a rimuovere dalla lavorazione la sostanza chimica che può provocare il Cancro. Il processo non è ancora concluso, ma il giudice Elihu Berle ha emesso la sentenza: i caffè venduti nello Stato per esempio proprio dalla catena Starbucks, devono rispettare la legge vigente e presentare sulla tazza la scritta 'allerta cancro', proprio come accade sui pacchetti di sigarette.

Ai produttori imputati è concesso un periodo di un paio di settimane per contestare la sentenza e presentare eventuale ricorso in appello. Ma difficilmente il giudizio sarà ribaltato: non avrebbero rispettato la norma che obbliga le aziende ad allertare i consumatori con specifiche informazioni che devono apparire sul prodotto sulle sostanze chimiche presenti potenzialmente cancerogene.

L'organizzazione no profit che ha avviato l'azione legale ha tirato in ballo produttori, torrefattori, distributori e responsabili della vendita al dettaglio del caffé. Le aziende produttrici con più di 10 dipendenti dovranno esporre cartelli o aggiungere etichette su ogni tazza.

Contenzioso infinito

Produttori e distributori hanno sostenuto che la sostanza chimica sarebbe presente nel caffè a livelli tali da essere innocua. Ma per il giudice non hanno portato prove valide. Viceversa l'associazione ha sottolineato che il consumo a causa dell'acrilammide presente, può aumentare il rischio di danni al feto, a neonati, bambini e adulti e questo va scritto ben in evidenza sulle confezioni della bevanda.

Per le aziende sarebbe impossibile eliminare del tutto la sostanza, comunque presente a livelli innocui, eccetto alterare il gusto.

All'Oms piace

L'Organizzazione mondiale della Sanità nel 2016 ha depennato il caffè dalla lista di alimenti potenzialmente cancerogeni. Secondo studi scientifici non c'è correlazione tra caffé e tumori dello stomaco, del pancreas, del polmone, del seno, dell’ovaio e della prostata e casomai svolge un'azione protettiva. L'’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (Efsa), ha evidenziato che l’assunzione di caffeina fino a 400 mg al giorno non ha effetti sugli adulti sani. Possiamo dunque continuare a bere caffè a 'cuor leggero'.