Il filo grigio permanente nelle periferie urbane è un noto clichè. Viali un pò spogli, ampi caseggiati con qualche vetro rotto, l'atmosfera che induce un certo senso di abbandono. Fotogrammi che si replicano ovunque ma a Trieste, capoluogo della Venezia Giulia, storica cerniera fra mediterraneo orientale e Mitteleuropa, già da una ventina d'anni si è messo in campo il progetto dell'Habitat Microaree, ideato da Asuits, Azienda Sanitaria, Comune ed Ater, per ridare respiro alle comunità come corpi sociali attivi e ridurre nelle aree suburbane le sacche di disagio e la lontananza dalle istituzioni.
Le microaree si raccontano
Sanità, lavoro, educazione, democrazia locale, sono i perni tematici delle microaree, citate nel documento del Ministero della Salute "L'Italia per l'equità" presentato a Roma il primo dicembre 2017 ed il 14 e 15 giugno 2018 nella sede del Teatro Basaglia, il convegno intitolato La Comunità che fa Salute esporrà i risultati di due ricerche svolte nel biennio 2016 - 2018 nell'hinterland triestino. La prima è stata coordinata da Fabio Barbone, direttore scientifico dell'Irccs Burlo Garofalo, mentre della seconda è referente Giuseppe Costa, epidemiologo e responsabile del centro di riferimento dell'Asl torinese per le determinanti sociali di salute dovute a reddito ed inclusione sociale.
L'asse concettuale fondato sulla dimostrazione che la comunità è in grado di produrre welfare e capitale umano, emancipandosi da una condizione di passività stagnante, può prendere consistenza facendo avanzare la trasferibilità del modello in altre zone del Paese ad alta concentrazione di disagio socio-sanitario.
Le energie riparative e le responsabilità diffuse
Avviata verso la fine degli anni novanta, la progettualità delle microaree ha coinvolto fino ad oggi 16 piccole frazioni fra i 500 e i 2500 abitanti e si è avvalsa di una rete di operatori socio-sanitari stabilmente presenti sul territorio. La ripartizione di funzioni e responsabilità tra istituzioni, residenti nei quartieri, cooperative sociali, associazioni, organizzazioni no profit, ha formato il cuore del progetto che riprende le indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e della Carta di Ottawa.
Secondo queste importanti linee guida, per la promozione della salute pubblica, oltre alla modificazione dei fattori ostativi del benessere sociale e sanitario, devono essere rafforzate le abilità dei singoli individui e le capacità di sorveglianza diffusa per prevenire e risanare degrado, povertà, malattie. La sintesi dell'impostazione è l'empowerment comunitario come somma di self empowerment, un nuovo corso che ha fornito nei distretti triestini lo slancio organizzativo dei laboratori territoriali caratterizzati dall'incrocio della domanda di servizi dei cittadini con la disponibilità delle risorse pubbliche e private.
Le principali novità
In questo quadro, molto significativa è stata l'istituzione del Portierato Sociale con il compito dell'ascolto della cittadinanza per una prima rilevazione dei bisogni urgenti e la successiva intermediazione con l'ente pubblico.
Tramite l'attività domiciliare si è provveduto, inoltre, al servizio di consegna della spesa e delle medicine, all'accompagnamento alle visite mediche e al disbrigo di piccole pratiche in un tessuto sociale composto, in larga parte, da famiglie mononucleari con donne anziane sole e da nuclei familiari di origine straniera. I Comitati hanno predisposto, invece, attività rivolte ai minori affidate a gruppi di mamme e volontari, come il doposcuola, oppure dedicate ad adulti ed anziani, in primis le attività motorie. Hanno rivitalizzato complessivamente la qualità delle relazioni sociali i pranzi condivisi, per le riunioni conviviali di quartiere e la biblioteca diffusa, consistente nella raccolta e distribuzione autogestita di libri in spazi dell'Ater.
Il campanello d'allarme della devianza e l'etnopsichiatria come paradigma di contrasto
I filoni di ricerca sul benessere della società multiculturale sono multipli e in un articolo pubblicato nel periodico quadrimestrale scientifico dell'Università "La Sapienza" di Roma "Rassegna di Psicoterapia e Psicopatologia Forense" il professor Massimo Montaldi afferma che "il metodo etnografico irrompe nell'analisi criminologica" e che si devono "capire le dinamiche che sottintendono la devianza criminale tra le minoranze". Tutto questo, nella chiave preventiva della degenerazione del disadattamento sociale nel fenomeno delinquenziale, corrisponde, ribadisce l'antropologo "ad un esercizio non solo di assoluta avanguardia sociale ma tende a costruire basi nuove allargando la conoscenza sul rapporto reale tra devianza criminale e comunità etniche".
Se riconosciamo che microaree, rioni, quartieri, rappresentando frazioni di popolazioni di compagine sempre più mista, sono ascrivibili alla categoria generale dell' "etnos", è accoglibile l'angolo visuale che oggi potrebbe dilatare i paradigmi di analisi dei problemi e che è offerto dall'etnopsichiatria. Si tratta della disciplina che si occupa dei rapporti fra malattia mentale, cura e contesto storico-sociale in un approccio multisettoriale aggregativo di frange di antropologia, psicologia, pedagogia, psicanalisi e psichiatria. Un Servizio di Etnopsichiatria che cura progetti regionali, nazionali e della comunità europea, è istituito all'ospedale metropolitano Niguarda di Milano e le attività puntano a far luce sulla cosiddetta "sindrome dell'adozione socio-culturale".
Le conclusioni richiedono cultura
I processi culturali sembrano essere oggi quelli maggiormente vocati ad innescare trasformazioni migliorative sia della percezione psico-sociale, sia della predisposizione psichica individuale aumentando il benessere e la qualità della vita relazionale. I laboratori di canto, i giochi creativi, i corsi di cucina e cucito, le camminate all'aria aperta, le lezioni di storia, che sono fra le attività maggiormente seguite nelle microaree della città di Italo Svevo, risvegliano con un metodo endogeno energie tanto latenti quanto trascurate e lo stesso gusto della cittadinanza. Che vi sia un legame fra salute e governo della polis è un'acquisizione già nota alla medicina antica, come riferisce il professor Enzo Novara a proposito di Ippocrate, secondo il quale l'uomo è al centro di un insieme di relazioni e la salute dei cittadini riceverebbe un maggior giovamento da un sistema democratico.