“Alcuni operatori che in Siria consegnano aiuti umanitari per conto delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali hanno sfruttato sessualmente donne siriane, chiedendo loro prestazioni sessuali in cambio di cibo”.

Questo è quello che riporta il sito di Repubblica in merito ad un’inchiesta della Bbc. Non è la prima volta che si viene a sapere che persone coinvolte a qualunque ordine e grado e in qualunque organizzazione, che vanno in queste aree difficili per supportare in modi diversi le popolazioni in difficoltà, una volta sul posto non si limitino a dare una mano ma sporchino le loro mani con gesti che vanno un po’ oltre ciò che possiamo definire normale, giusto e utile.

Proviamo a capire il perché di certi avvenimenti

Innanzitutto si può constatare che vi sia a monte un problema percettivo di questi operatori umanitari nei confronti delle donne siriane. Il problema cardine è che percepiscono queste ultime quali di fatto inferiori a sé, dunque oggetto di sottomissione alle proprie volontà. Questo evidenzia un errore nella “programmazione” di questi operatori.

Ma quali sono in maniera più specifica le dinamiche?

Per spiegare quali sono state le forze sociali e psichiche che hanno agito in questa situazione, e in situazioni similari, ci rivolgiamo alla Psicologia sociale. Il senso etico e morale di un individuo può cambiare a seconda della situazione sociale in cui si trova, e passare da essere persone eticamente corrette in una situazione di maggior esposizione sociale, a diventare esattamente l’opposto quando ci si sente meno esposti.

Qui i punti cardine sono tre: l’anonimato, la de-responsabilizzazione e la naturale tendenza dell’umano. In quelle zone gli operatori agivano in un contesto favorevole a certi gesti in quanto erano innanzi tutto lontani da persone affettivamente rilevanti per loro, agivano coperti da uno stemma, quello delle organizzazioni, agivano in un contesto di gruppo chiuso che faceva da protezione, sentivano la loro identità meno imponente in quanto leggermente diffusa nello spirito di gruppo.

Tutti questi fattori appena elencati favoriscono l’anonimato e la de-responsabilizzazione. Se si agisce in contesti come quello descritto, la psicologia sociale ci dice che è più semplice attuare comportamenti antisociali.

Questi elementi vanno a creare per i soggetti colpevoli una sorta di ambiente protetto in cui poter dare sfogo alle naturali inclinazioni violente dell’umana specie.

Esistono diversi esperimenti, come quello della prigione di Standford ad opera di Zimbardo del 1971, che dimostrano e avvalorano la teoria che vuole che nell’essere umano vi sia un’innata indole per l’attuazione di comportamenti disumani e violenti, spesso con forti coloriture sessuali, la dove è immerso in un contesto, anche solo di finzione e interpretazione, che permette di non dover fare troppi conti con la propria coscienza e la propria socialità.