I ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs Università Cattolica, in collaborazione con l'Irccs S. Raffaele Pisani, hanno messo a punto un test semplice e non invasivo in grado di predire chi si ammalerà di demenza. In questo senso è sufficiente un semplice esame del sangue e un elettroencefalogramma. La ricerca è stata coordinata da Paolo Maria Rossini, che è direttore dell'area di neuroscienze del Gemelli, nonché ordinario di Neurologia dell'Università Cattolica di Roma. Rossini spiega che questi due semplici esami consentono di ottenere informazioni importanti: il prelievo del sangue dà informazioni a livello genetico, mentre l'elettroencefalogramma fornisce dati importanti sulla connettività cerebrale.

Le informazioni combinate fornite dai due test sono quindi in grado di prevedere con elevata accuratezza se una persona è a rischio o meno di sviluppare demenza.

A chi è rivolto il test

Il test riguarda le persone che presentano un lieve deficit cognitivo, ovvero circa 735mila pazienti nel nostro paese, di cui solo la metà, a qualche anno dalla diagnosi, avrà una evoluzione di questo disturbo sviluppando una forma di demenza più complessa. I ricercatori hanno coinvolto 145 pazienti ai quali era stato diagnosticato un lieve deficit cognitivo; quindi sono stati monitorati nei due anni successivi per verificare chi sviluppava la demenza. Al termine di questi due anni di osservazione, la demenza è stata sviluppata da 71 pazienti, mentre gli altri 74 sono rimasti stabili.

Questo test combinato può quindi offrire dei vantaggi a livello diagnostico, in quanto potrebbe consentire una prima scrematura della popolazione. Se, ad esempio, una persona che presenta dei lievi disturbi cognitivi misurabili con degli esami neuropsicologici, risulta anche positiva al doppio test, allora si potrà procedere con test più specifici quali la pet, la puntura lombare e la risonanza magnetica.

In particolare, Rossini spiega che in tal modo potrebbero ottenersi fondamentalmente due vantaggi: da un lato si eviterebbero disagi a causa degli esami invasivi a quei pazienti che non sono destinati a sviluppare forme di demenza, dall'altro si potrebbe iniziare il trattamento farmacologico già in questa fase, in quanto la strategia terapeutica risulta maggiormente efficace se la somministrazione dei farmaci viene fatta precocemente.

Inoltre, il precoce trattamento farmacologico, assieme all'adozione di uno stile di vita sano, può ritardare l'età d'esordio della patologia e forse rallentarne la velocità di progressione. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Annals of neurology.