Dopo un lungo periodo di isolamento forzato che ha costretto milioni di persone a restare a casa, c'è ancora chi teme di uscire. La causa è da trovare in quella che viene definita come "sindrome del prigioniero", conosciuta anche come sindrome della capanna, che spinge alcuni soggetti a voler ricercare la stessa zona di comfort costruita nel periodo di reclusione. In molti hanno desiderato ardentemente l'arrivo di questo fatidico 4 maggio per poter finalmente riprendere in mano la propria vita e tornare in strada o semplicemente tornare ad abbracciare i propri cari, seppur con le dovute precauzioni, eppure c'è qualcuno che, nonostante i permessi concessi dallo Stato, preferisce restare in casa propria ed evitare assolutamente di uscire.
Qualcuno la potrebbe considerare come pazzia, eppure quanto appena descritto trova un fondamento scientifico e psicologico.
Sindrome del prigioniero: cos'è e da cosa è causata
Dopo il periodo di quarantena appena trascorso che, ricordiamo, per alcuni ha avuto una durata superiore ai 60 giorni, la maggior parte dei cittadini si è organizzata in maniera adeguata per abbandonare la propria "gabbia" e tornare alla libertà. Diversamente, ci sono soggetti che hanno trovato in questa cosiddetta "gabbia" o "prigione" quella che è la propria zona di comfort, ovvero quell'ambiente favorevole alla propria persona e considerato talmente protetto al punto da temere di vederlo crollare alla prima uscita.
Il soggetto in questione, avendo avuto abbastanza tempo da dedicare a sé stesso ed alle persone care, è riuscito a costruire e stabilire quel perimetro di sicurezza considerato invalicabile.
Una vera e propria "fortezza immaginaria" che gli rende difficoltoso abbandonare le abitudini costruite durante il periodo di reclusione. Alcuni manifestano una vera e propria paura per il mondo esterno, mentre altri preferiscono restare all'interno della propria abitazione per evitare di ritornare alla normalità. Ciò trova spiegazione nella ripetizione regolare di quella che è la routine che si è andata a creare e che, in modo del tutto imprevisto, ha costretto le persone a modificare di sana pianta le proprie abitudini.
A grandi linee, questa è quella che viene definita "sindrome del prigioniero".
La sindrome può colpire chiunque?
Sfortunatamente per molti, la sindrome in questione può essere in grado di colpire chiunque, dai più anziani ai più piccoli. Non si tratta di una malattia fisica o genetica, bensì di uno scompenso psicologico che altera quasi completamente quella che era la personalità del soggetto.
Quanto appena detto, non significa che la persona affetta cambia il proprio essere divenendo più aggressivo verso gli altri, semplicemente riscopre quel timore verso il mondo esterno che la porta a preferire la propria abitazione a tutto il resto.
Come spiega la psicologa Timanfaya Hernández, del collegio degli psicologi di Madrid, ognuno di noi vive all'interno di un'era che spinge quasi tutti a darsi da fare ed a causa del Coronavirus si è ritrovato costretto ad abbandonare le vecchie abitudini per costruirsene delle nuove. Vi sono casi di persone, secondo quanto comunicato dalla dottoressa Hernández, che si chiudono in sé stesse dopo un lungo periodo di convalescenza in ospedale, o dopo un periodo di reclusione in carcere.
La situazione che il mondo intero sta vivendo per adesso rende comprensibile questa tipologia di timore, ma non tutti sono in grado di gestirlo al meglio. I fattori che influenzano questi atteggiamenti sono principalmente psicologici. Molti temono di uscire e scoprire com'è il mondo adesso, mentre altri preferiscono evitare di vedere i negozi chiusi e le strade deserte. Se a questo si aggiunge il fattore di rischio creato dal contagio e dalla facilità di trasmissione del coronavirus, il quadro può essere considerato completo.
In alcuni casi è possibile venirne fuori autonomamente, mentre nei casi più gravi è necessario l'intervento di uno specialista.